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La fede e un Martin Scorsese “sconvolgente”. La riflessione di Cristiano

Un libro da leggere con una certa urgenza, davvero. Tutto il resto, la grazia, la salvezza, Gesù, il film che vuole fare su di lui, la traccia di questo film sorprendente che il volume ci offre alla fine, trovano con queste pagine sulla violenza un ulteriore senso. Riccardo Cristiano ha letto per Formiche.net “Dialoghi sulla fede”, libro-intervista di Antonio Spadaro a Martin Scorsese, edito da La Nave di Teseo

“Dialoghi sulla fede“ è un avvincente libro-intervista nel quale Antonio Spadaro ci presenta Martin Scorsese e lo interroga su Dio, sulla grazia, sulla salvezza, sulla sua vita, cioè soprattutto su New York e sui suoi film, come su quello che potrebbe fare prossimamente su Gesù. Il volume (La nave di Teseo, 16 euro) cattura il lettore, quasi come se fosse esso stesso un film; non si riesce a interrompere la lettura prima che arrivi la fine, perché il ritmo è incalzante e le risposte così dirette, piene di vita da impedire di fermarne lo scorrere, perché ci chiama direttamente in causa. Questa sua annotazione mi ha colpito: “Carl Jung aveva affisso un’iscrizione latina sullo stipite della porta di casa sua, in Svizzera: VOCATUS ATQUE NON VOCATUS DEUS ADERIT. Lo si chiami o no, Dio sarà presente. Questo dice tutto”.

Scorsese però sa portare il discorso sulla fede nella realtà, molto più di quanto accada con molti professionisti del discorso su Dio, o forse perché lui lo fa non in termini accademici, magistrali, ma con risposte prese dalla sua quotidianità e dai suoi film. Ognuno può soffermarsi sulle risposte sulla fede come la vive lui, o sui suoi famosissimi film, da Toro Scatenato a Silence, da L’ultima tentazione di Cristo, a Killers of the Flower Moon. Ma io penso che Spadaro e Scorsese abbiano raggiunto il momento più coinvolgente, importante e attuale del loro dialogo, che fa uscire il lettore diverso da come era quando era entrato nella saletta dove ha letto questo libro (fatto di parole in movimento proprio come i film, che per Scorsese sono immagini in movimento), quando ci parlano della violenza, delle persone violente, che Scorsese sa spiegare con autentica genialità e attualità.

Dire che oggi viviamo circondati dalla violenza è scontato: le guerre, la ferocia ai limiti del sadismo sta raggiungendo livelli inauditi, tanto che nella cronaca, nella politica interna e ovviamente in quella internazionale non c’è quasi spazio per altro. Ecco, sebbene nel libro ci siano molte altre pagine sorprendenti – come quando Scorsese ci dice che “salvezza” è parola interessante perché nessuno saprà se si è salvato mentre è vivo, ma si può vivere nel modo più dignitoso possibile, navigando tra autocritica e accettazione di sé – quelle sulla violenza sono decisive, irrinunciabili e soprattutto urgenti!

Così vorrei suggerire, invitare alla lettura “urgente” di questo volume, soffermandomi proprio sulla violenza, che ha accompagnato Scorsese sin da ragazzo. È per questo, par di capire, che nei suoi film ce ne è tanta. Non perché abbia fatto una riflessione politico-diplomatica sul futuro del mondo, ma perché l’ha vissuta, l’ha vista, l’ha capita. E ha capito delle cose molte importanti su noi.

Il tema come detto, ricorre, va e viene, si intreccia e riappare nella conversazione. Scorsese ricorda quando era bambino, parla di un prete che lo ha cambiato, ha portato in quei ghetti di miseria dove viveva (eravamo tutti siciliani e napoletani, dice, qualche calabrese, ok, ma in linea di massima solo siciliani e napoletani) un metodo nuovo. E lui ha pensato di voler diventare come lui. Ed è andato in seminario: tentativo fallito. Il movimento tra la realtà della violenza e l’esempio di questo religioso ci rincorre, ci fa vedere gli ambienti dove il regista è cresciuto, tra strade senza illuminazione e gangster. E arriva alla comunione, anzi, lui dice alla “transustanziazione”. Che fa, il professore, il teologo? No, ci porta nella vita, nella realtà! Cito: “Nel quartiere c’erano tantissime persone davvero disperate. C’era un uomo che era conosciuto come ladro di prima categoria, e lo vedevi sempre sfilare alla processione di san Rocco. Ci andava a pregare di avere la forza di rubare di più. A raccontarla sembra una storiella divertente. Ma il protagonista era un uomo così disperato da pregare Dio di aiutarlo a fare il male. Si sentiva come se non avesse scelta. Come possiamo giudicarlo? Quindi per me la transustanziazione deve avvenire fuori dalla chiesa, affinché andare in chiesa possa diventare qualcosa di più di pagare rate settimanali di una polizza assicurativa etica, per così dire. Ed è importantissimo che i laici partecipino così, trovino la loro strada per incorporare Dio nei loro cuori. Sai, mi colpisce il fatto che vediamo e sentiamo costantemente le parole ‘giustizia e misericordia, giustizia e misericordia’. E mi chiedo: la misericordia non dovrebbe venire per prima? Perché la giustizia può facilmente, così facilmente diventare un grido di sangue, di punizione, e sempre di più e ancora e ancora, avanti così fino alla fine del mondo. E a un certo punto, deve finire”. Straordinario, almeno per me.

Ma il testo procede, non è questo il picco del suo discorso sulla violenza. Scorsese racconta del suo ultimo film, questa storia incredibile dei nativi indiani; scoprono il petrolio nella loro riserva e ne subiscono cose incredibili, perché vogliono sottrarglielo. C’è un “bianco” che sposa una di loro per avvelenarla lentamente e sottrarle le quote di proprietà. Ma loro si amavano, ha scoperto indagando Scorsese: lui la uccideva lentamente e intanto la amava, davvero!

Tutto si spiega però, del suo discorso sulla violenza, con l’esempio finale, quando riferisce di una recensione al suo film The Irishman. Tra i protagonisti c’è un certo Frank, un gangster ovviamente. Lo scrittore che ha recensito il film (una bella recensione dice Scorsese) esprime però la sua sorpresa per la preoccupazione del regista per questo Frank, per la sua anima, visto che non ci sono tracce nel film sulla sua vita interiore. Ma Scorsese obietta che il recensore manca il bersaglio: “Impariamo a conoscere la vita interiore degli altri osservando il loro comportamento esteriore e parlando con loro. Uno come Frank, tutte le persone in quel mondo, non parlano. Di nulla. La vita interiore di Frank si esprime nei suoi occhi, nelle sue pause e silenzi, nelle sue esitazioni, nel modo in cui trattiene le cose. Ma parlare? Autoesame? Quell’impulso inizia a farsi strada dentro di lui solo verso la fine. Quasi inconsciamente, quando il peso da sopportare diventa troppo. Quindi ho sentito che questo scrittore stava esprimendo un giudizio morale, e che quel giudizio implicava che alcune anime sono meno degne di preoccupazione di altre. Ma i gangster sono esseri umani, quindi non è una questione di gangster in sé, siamo tutti noi. È quello che noi siamo. Ovviamente è preoccupante ed è scomodo. La gente pensa: “Come posso essere messo nella stessa categoria di un assassino. Sono solo gangster, sono solo tossicodipendenti, sono solo malviventi”. No. Non puoi liquidare un’intera, grande fetta di umanità in questo modo. Siamo noi”

Quando ho finito la lettura di questo libro ho capito perché padre Spadaro, presentandolo sui social, abbia definito Scorsese “a tratti sconvolgente”. Un libro da leggere con una certa urgenza, davvero. Tutto il resto, la grazia, la salvezza, Gesù, il film che vuole fare su di lui, la traccia di questo film sorprendente che il volume ci offre alla fine, trovano con queste pagine sulla violenza un ulteriore senso per me.

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