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Così preveniamo l’emergenza fentanyl in Italia (e non solo). Parla Molinari

“In Italia la situazione è di attenzione preventiva, non di emergenza”, rassicura Molinari, che sottolinea però l’importanza di una Strategia nazionale “sulla scia di quanto accade negli Usa”. E aggiunge: “Sebbene buona parte di questi prodotti arrivino da produzioni legali, un controllo sui precursori ne ostacolerebbe certamente la produzione illecita”

Sebbene in Italia il fentanyl non rappresenti un’emergenza, pochi giorni fa il dipartimento antidroga della presidenza del Consiglio ha pubblicato un Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di fentanyl e altri oppioidi sintetici. Obiettivo della Strategia è attuare misure di prevenzione efficaci che impediscano un’escalation della sua diffusione, come avvenuto ad esempio negli Stati Uniti, dove nel solo 2021 l’utilizzo illecito di fentanili ha causato oltre 70mila morti. Per capire meglio il grado di rischio che corre il nostro Paese e la ratio che ha portato allo sviluppo del Piano nazionale, abbiamo intervistato il capo del dipartimento per le Politiche antidroga, Paolo Molinari.

Abbiamo parlato moltissimo di fentanyl e dei rischi che comporta un suo uso distorsivo e dunque non a scopo terapeutico, ma stupefacente. Quali sono, invece, i dati relativi al fentanyl utilizzato come farmaco, secondo prescrizioni mediche? Perché è così importante come analgesico e anestetico? Di che numeri parliamo?

Il fentanyl è un potente analgesico oppiaceo di sintesi a breve durata d’azione, introdotto negli anni ’60 e fondamentale in anestesia chirurgica e analgesia oncologica e traumatologica. La più recente disponibilità in forme idonee all’assunzione orale o via cerotti transdermici ne ha esteso l’impiego come analgesico in forme di dolore cronico grave. L’impiego medico del fentanyl e dei suoi derivati è molto esteso su tutto il territorio nazionale, ma è soggetto a prescrizione medica speciale essendo in classe I della tabella delle sostanze stupefacenti e psicotrope del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

Sappiamo, come voi stessi ricordate nel Documento appena rilasciato, che nell’utilizzo di un farmaco viene sempre considerato il rapporto rischio/beneficio. Il rischio, ovvero l’insorgenza di effetti collaterali o propriamente tossici, deve essere sempre inferiore rispetto al beneficio dell’uso della sostanza (cura della patologia). E se considerassimo come effetto collaterale, in questo caso, proprio l’escalation dell’utilizzo distorsivo che ne viene fatto? Sarebbero comunque più i benefici dei rischi?

L’uso medico come potente analgesico è assolutamente lecito, quando si deve trattare una condizione di dolore acuto, cronico e in sede di manovre anestesiologiche. In questo caso gli effetti collaterali sono immensamente inferiori ai benefici. Certo in altri contesti, come negli Usa, per una prassi sanitaria che da noi non è adottata, si sono estese enormemente le indicazioni all’uso ripetuto/cronico di potenti oppiacei – non solo fentanyl, ma anche ossicodone, tramadolo – a patologie dolorose non particolarmente gravi. Questo ha creato un enorme “mercato” nel cui ambito si sono sviluppati fenomeni di tolleranza e dipendenza che hanno poi innescato il problema dell’uso illecito e delle morti conseguenti.

Tra gli elementi di potenziamento dei controlli, nel documento si fa riferimento a un’allerta da condividere con Regioni e Asl per il monitoraggio della rilevazione dei livelli prescrittivi “anomali”. Vuol dire che in alcuni casi si registra anche la connivenza della classe medica?

Certamente, come per altri farmaci psicoattivi quali benzodizepine, cannabis terapeutica, morfina ci possono essere casi di prescrizioni non giustificate. Ma ripeto che il fenomeno di un abuso prescrittivo diffuso di oppiacei di sintesi in Italia al momento non si sta verificando. È comunque importante, sulla scia di quanto sta accadendo negli Stati Uniti, muoversi preventivamente ed è per questo che attraverso il Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di fentanyl stiamo cercando di agire, insieme alle Regioni e le Asl, per potenziare i controlli e il monitoraggio della rilevazione dei livelli prescrittivi.

Si può parlare, a livello globale, di una vera e propria emergenza fentanyl. Dal suo punto di vista, quali sono le ragioni per cui le azioni di intervento non sono state attuate “per tempo” al fine di evitare che la situazione raggiungesse tale gravità? Oppure ritiene che sia stato fatto tutto il possibile ma che il fenomeno era troppo impetuoso per riuscire ad arrestarlo prima?

Come scritto anche nel documento, in Italia e, direi, in Europa, la situazione è di “attenzione preventiva”, non di emergenza. Al momento, infatti, le raccomandazioni e le restrizioni all’impiego di questi potenti oppiacei ne hanno limitato sostanzialmente l’impiego all’area sanitaria. Il nostro Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di fentanyl punta proprio a evitare una situazione di emergenza.

Ritiene che se il blocco atlantico avesse avuto maggiore autonomia nell’approvvigionamento di principi attivi, optando per il reperimento locale dei precursori chimici necessari alla produzione del fentanyl, avremmo potuto avere un maggiore controllo sul processo e quindi evitare l’attuale emergenza legata al fentanyl?

La dipendenza da oppiacei è un problema per tutto il mondo. La sintesi di questa classe di farmaci, campo nel quale la Cina ha certamente esercitato un ruolo primario, può essere in realtà realizzata ovunque. Certamente un controllo sui “precursori”, come avviene per altre sostanze illecite, può ostacolare la produzione illecita. Si deve tenere presente, tuttavia, che buona parte di questi prodotti arrivano nel mercato clandestino da produzioni legali, mediante diversione dei flussi di rifornimento dal mercato legale a quello clandestino.

Nel contesto della riunione del G7 del Roma-Lione Group che si terrà dal 17 al 19 aprile a Roma, è stato annunciato che un panel sarà dedicato alla minaccia rappresentata dalle droghe sintetiche. Secondo lei, a metà aprile potremo già vedere qualche risultato derivante dall’attuazione del nuovo piano del governo?

Il piano è complesso ed è attivo da subito, ogni amministrazione è consapevole delle attività di cui è responsabile e fondamentale sarà mantenere un monitoraggio costante.

Quanto sarà importante la cooperazione fra le istituzioni centrali e quelle locali nel raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Piano nazionale?

L’azione sanitaria si realizza a livello dei cittadini e dunque solo un recepimento delle indicazioni ministeriali a livello locale può tradursi in un successo del Piano nazionale. Questo modello di collaborazione multi-livello è fondamentale per creare una rete capillare di prevenzione che possa effettivamente proteggere la popolazione, in particolare le giovani generazioni, dal rischio rappresentato dall’uso improprio di fentanyl e di altri oppioidi sintetici. Il successo di queste iniziative dipende dall’effettiva collaborazione tra il sistema educativo, il sistema sanitario e le Forze dell’ordine, tutti coordinati da un Piano di azione comune.

In calce al Documento si riportano le azioni da svolgere qualora anche in Italia si venisse a creare una situazione di emergenza. Se così fosse saremmo pronti a partire tempestivamente?

Questi oppiacei di sintesi agiscono essenzialmente come quelli tradizionali, ma in modo molto più potente. Dunque, le nostre strutture sono già in grado di gestire queste emergenze in caso di intossicazione acuta. Diverse considerazioni, invece, riguardano l’identificazione dei consumatori cronici che, dato l’azione disabilitante di questi composti, possono creare gravi problemi di sicurezza stradale, dei trasporti, lavorativa ed in mansioni di grande responsabilità coma la cura dei minori. Su questo punto sarà necessario approntare idonee strategie analitiche per la rapida analisi di questi composti che sfuggono agli esami tossicologici di routine. Queste nuove azioni sono però contemplate nel Piano nazionale che si avvale della collaborazione della rete dei laboratori italiani di tossicologia forense, già attrezzati allo scopo.

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