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G7, Africa, Nato. Parsi analizza il viaggio di Meloni alla Casa Bianca

“Il G7 italiano a Kyiv è stato un bel segnale”, ha detto Parsi in una conversazione con Formiche.net, ma bisogna andare oltre, ossia “investire molto di più in difesa dal momento che oggi, rispetto al recente passato, non si può escludere un conflitto con la Russia”. La visita di Meloni negli Usa significa che c’è una convergenza tra i due Paesi sulla politica estera

Ventisei su trenta. È il voto che darebbe alla politica estera di Giorgia Meloni, dopo 16 mesi a Palazzo Chigi, il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di cui è uscito recentemente per Bompiani “Madre Patria”. L’analista prende spunto dal meeting alla Casa Bianca Biden-Meloni per riflettere sulla postura italiana in un quadro altamente articolato, composto da G7, Piano Mattei, Ucraina e Nato.

La seconda visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca in sette mesi certifica la crescente importanza dell’Italia come partner geostrategico per gli Stati Uniti?

Certifica che per l’amministrazione Biden l’Italia in questo momento, almeno per il suo sostegno all’Ucraina, è convergente con la politica della Casa Bianca tanto in Medioriente quanto in Ucraina, per cui sicuramente questa è una visita che lo ribadisce. Inoltre in qualche misura attesta che la premier, che apparteneva fino a qualche anno fa ai trumpiani d’Italia, forse adesso vede le cose in maniera diversa.

La prima riunione del G7 a Kyiv per commemorare il secondo anniversario della resistenza ucraina come si intreccia con l’esigenza, da un lato, di assicurare più munizioni a Zelensky e, dall’altro, di favorire una difesa comune europea, contro l’ambiguità strategica francese?

Macron secondo me, come spesso gli capita, è affetto da scarso coordinamento con gli altri, perché appunto da un lato ha detto cose abbastanza evidenti, come una no fly zone sull’Ucraina sul confine polacco in modo da garantire le retrovie ucraine, che sarebbe servita due anni fa. Ma dall’altro quelle parole dette oggi contrastano con il fatto che la Francia sul piano degli aiuti militari concreti è molto indietro. Certamente il G7 italiano a Kyiv è stato un bel segnale, ma Parigi neanche si è presa la briga di partecipare: come al solito i francesi hanno fatto un po’ gli altezzosi. Però qui dobbiamo andare oltre i segnali.

Ovvero?

Bisogna fare quello che ha detto Ursula von der Leyen, investire molto di più in difesa, in equipaggiamento, nell’aumento sia della produzione che dello stoccaggio di materiali dal momento che oggi, rispetto al recente passato, non si può escludere un conflitto con la Russia. Per cui il modo migliore per allontanare la prospettiva è essere in grado di esercitare una dissuasione pesante. Osservo che tutti i discorsi stupidi che ho sentito in questi giorni, a proposito di voler riarmare l’Europa, li considero ipocriti: non è vero che potenziare la difesa europea ci porterebbe sul sentiero di Putin della guerra. Queste sono scemenze. Piuttosto, la presidente della Commissione europea sta cercando di fare di tutto perché l’Europa non venga trascinata in una guerra da Putin. Qui lo scenario è cambiato, quindi quando un apparato militare è efficiente esso è l’unico modo per riuscire a sconfiggere il virus dell’autocrazia.

La cooperazione con il continente africano è garantita sulla carta dal Piano Mattei: esiste l’opportunità di collaborazione in queste aree di comune interesse con gli Usa?

La possibilità c’è ma non sempre gli Usa hanno posto attenzione, almeno dal punto di vista organizzativo, sull’Africa. In realtà durante l’amministrazione Clinton c’è stato un grande sforzo africano che poi venne interrotto dagli attentati di Al Qaeda contro le ambasciate americane in Africa: queste furono le premesse poi dell’offensiva successiva. C’è da considerare anche un problema europeo di maggior coordinamento e di maggiore senso dell’urgenza: a volte si ha l’impressione che si perda proprio il senso della misura, come dimostra tutta l’attenzione che viene data a movimenti ampi come quello dei trattori, dei balneari, dei gillet gialli.

Il coordinamento transatlantico rispetto alle sfide e alle opportunità poste dalla Cina è legato anche alla preparazione del prossimo vertice Nato, che si terrà in luglio a Washington quando cadrà il 75mo anniversario dell’Alleanza atlantica. Biden può contare in Europa su un’Italia diversa rispetto al passato?

Come allineamento noi siamo sempre stati alleati degli Stati Uniti, il problema vero è che spesso però dietro le dichiarazioni di sostegno politico non c’è mai stato un aumento delle capacità operative o di un’attitudine a usare gli strumenti con una maggiore prontezza. Nel tempo non siamo riusciti a costruire una cultura della difesa, né a livello di classe politica e culturale o intellettuale, né a livello di opinione pubblica: su questo siamo indietro e lo dimostrano i sondaggi sul sostegno militare all’Ucraina. Quelli di due anni fa rispecchiano quelli di oggi: le percentuali non si sono spostate nonostante un dibattito spesso riempito anche di pagliacci e di figure vergognose. Il che significa che c’è un’opinione pubblica che è ancorata alla sua confort zone e non si sposta di lì. Contemporaneamente la leadership politica di tutti i colori, anche quella che era più favorevole e consapevole delle minacce, non si è espressa bene. Insomma, l’ultimo che ha parlato con ferma chiarezza è stato Mario Draghi, che non a caso non era un politico di professione.

In questi sedici mesi a Palazzo Chigi Giorgia Meloni ha stabilito forti rapporti con Biden, Modi e Kishida, ha recentemente ospitato il vertice Italia-Africa, è in pieno G7 e mantiene forte la posizione pro-Ucraina: che voto dare alla premier?

Direi 26 su 30.



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