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Globalizzazione, addio o arrivederci? Tocci, Talò e il libro di Braw

La presentazione dell’ultimo volume di Elisabeth Braw al Centro Studi Americani fornisce lo spunto per discutere sull’evoluzione del sistema globalizzato, nonché sulle cause di questa trasformazione. Chi c’era e cosa si è detto

Il mondo globalizzato che si è affermato durante gli ultimi tre decenni è davvero arrivato al capolinea? Oppure quello è in corso è solo un riadattamento, e non una crisi definitiva? La risposta a queste domande è stata alla base della presentazione del libro “Goodbye Globalization: The Return of a Divided World”, scritto da Elizabeth Braw, senior fellow dell’Atlantic Council ed editorialista per testate del calibro di Politico e di Foreign Policy, tenutasi al Centro Studi Americani nella serata di lunedì 25 marzo. Ad animare il dibattito con l’autrice del volume erano presenti l’ambasciatore Francesco Maria Talò e la direttrice dell’Istituto Affari Internazionali Nathalie Tocci, moderati dalla giornalista Barbara Carfagna e introdotti dai ringraziamenti del direttore del Centro Studi Americani Roberto Sgalla e dal Nonresident Senior Fellow dell’Atlantic Council Paolo Messa.

Dove si trova, si sono chiesti i relatori, l’origine della frattura che affligge oggi il sistema internazionale. La globalizzazione aveva continuato ad espandersi sin dalla fine della seconda guerra mondiale arrivando ad includere anche grandi attori (e quindi mercati) come Russia e Cina, che negli ultimi anni avevano però iniziato ad assumere una postura critica nei confronti di questo processo. Le operazioni militari messe in atto dalla Russia di Vladimir Putin sin dal 2014 sono state un segnale chiaro in questo senso, così come gli atteggiamenti della Cina di Xi Jinping. “Le persone stanno perdendo fiducia nella globalizzazione, e mentre scrivevo questo libro questa fiducia stava continuando a deteriorarsi in modo costante. La globalizzazione non piace a tutti. Non solo in Cina e in Russia, ma anche a Ovest, per esempio alle persone che a causa dei processi di integrazione economica globale hanno perso il lavoro e si sono trovate disoccupate. Portando al verificarsi del fenomeno Trump, che è una conseguenza di ciò” rimarca Braw.

È difficile pensare che la globalizzazione così come la conoscevamo sopravvivrà a questa crisi. Anche perché sono venuti meno, o sono stati messi profondamente in discussione, alcuni degli assunti di base che sottostavano a questa realtà. “Pensavamo che i processi, dalla democratizzazione alla liberalizzazione, dall’europeizzazione alla globalizzazione, fossero lineari, e che una volta imbarcata una strada non si potesse tornare indietro. Abbiamo realizzato che non è così”, chiosa Tocci, sottolineando anche quanto fosse radicata, e non soltanto in Occidente, la convinzione che l’economia vincesse sulla politica. Nonostante tutti fossimo consapevoli delle crescenti divergenze tra attori globali, le ignoravamo volontariamente focalizzandoci soltanto sull’aspetto economico.

E ancora l’esistenza di un legame indissolubile tra l’economia di mercato e la democrazia, due facce della stessa medaglia, o l’idea che l’interdipendenza fosse solamente fonte di cose buone, e in quanto tale andasse trattata come “un bene pubblico”. Ma il succedersi negli ultimi vent’anni di una serie di crisi per il mondo aperto ci ha fatto (ri) scoprire che forse questi dogmi non erano tali.  L’11 settembre è stata la prima grande crisi della sicurezza del mondo aperto, evidenziando come quest’apertura non fosse solo causa di evoluzioni positive ma anche di minacce. Seguita dalla crisi finanziaria globale del 2008, che ha messo in discussione la globalizzazione in diverso modo. Fino alla pandemia e al proliferare di conflitti registrato nell’ultimo decennio.

Possiamo quindi parlare della fine della globalizzazione? Questo ancora non lo sappiamo. Quel che è certo è che non sarebbe la prima volta: nel corso della storia ci sono stati altri momenti caratterizzati dallo sviluppo di un’interdipendenza globale, a cui è seguito un brusco passo indietro. “Già con l’impero romano si è avuta una prima ‘globalizzazione non globale’, perché la storia del globo andava avanti per strade parallele. Quella di Roma, quella della Cina, quella dgli Imperi precolombiani. Quando l’impero romano crolla si avvia una ‘deglobalizzazione locale’, caratterizzata da un deperimento delle infrastrutture e da una riduzione dei centir abitati e della popolazione. Poi c’è stata un’altra globalizzazione, quella più significativa, durane l’epoca della navigazione. Io credo che sia importante per noi riflettere su questo”, afferma Talò.

“L’innovazione tecnologica e sociale portano a una ‘unificazione della storia’, non si può più distinguere quello che succede qui o altrove. E hai una globalizzazione nella quale l’Occidente prevale. Ora, per la prima volta, questo predominio non è più scontato. Ora è possibile che un’altra parte del mondo possa avere capacità in grado di sfidare le nostre”, prosegue Talò, richiamando al pubblico il ruolo di “innovazioni moderne” come quella dell’Intelligenza Artificiale, e sottolineando l’importanza del tema dell’identità nel mondo odierno. Identità che, in qualche modo, rappresenta in forma plastica quel ritorno della supremazia della politica rispetto all’economia che è stato trasversale per tutta la discussione.

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