Gli Usa dispiegano un Fast team dei Marines a Haiti, dove proteggeranno ambasciata e interessi mentre la missione di stabilizzazione a guida kenyota ritarda per ragioni di sicurezza. Intanto Jimmy Barbecue parla come i leader golpisti del Sahel (quelli che hanno chiesto aiuto ai contractor russi)
Il Kenya ha annunciato martedì che sospenderà la sua missione di polizia ad Haiti fino alla formazione di un nuovo governo a Port-au-Prince, dopo che il primo ministro Ariel Henry aveva fatto sapere che si dimetterà presto. Il ministro degli Interni keniota, Kithure Kindiki, aveva dichiarato che la missione di polizia era “in fase di pre-dispiegamento” e che sarebbe andata avanti nonostante le notizie di ulteriori sfide legali e securitarie. Ma evidentemente il contesto si è ulteriormente deteriorato.
Dopo una visita di Henry in Kenya, a febbraio, era stato deciso che almeno 1.000 agenti di polizia del Paese africano sarebbero stati inviati nel Paese caraibico per aiutare le forze di sicurezza locali ad affrontare le bande che ormai sembrano aver preso di fatto il Paese. La missione è autorizzata dalle Nazioni Unite, ma non tecnicamente sotto egida Onu. Vi parteciperanno alcune nazioni regionali e non (per esempio, dovrebbero esserci duemila soldati del Benin).
Gli Stati Uniti hanno fortemente voluto la missione per ristabilire l’ordine nel Paese. Hanno promosso le dinamiche interne alle Nazioni Unite, hanno stanziato fondi da diverse centinaia di milioni di dollari, hanno spinto per la costruzione di una coalizione di intervento ampia ed efficiente — in quest’ottica stanno chiedendo a Roma di partecipare in qualche modo attraverso capacità ed esperienza nelle stability policing dei Carabinieri.
Intanto, l’amministrazione Biden ha deciso di inviare a Port-au-Prince un contingente dei Marines con elicotteri da trasporto per iniziare l’evacuazione del personale non essenziale e le famiglie dei diplomatici dell’ambasciata americana nella capitale. Il Southern Command ha detto di aver schierato il team noto come Fast, acronimo di Marine Fleet-Anti-terrorism Security Team, che è già arrivato sul posto dalla Naval Weapons Station di Yortown, in Virginia.
Solitamente, il dispiegamento del team Fast viene usato quando un’ambasciata viene messa sotto minaccia diretta da fattori destabilizzanti e caotici all’interno di un Paese. Lo schieramento significa che i signori della guerra e le bande rivali che controllano circa l’80% del territorio della capitale, non solo combattono la polizia e si scontrano per primeggiare tra di loro. Bensì potrebbero aver messo nel mirino anche le entità straniere.
In particolare, uno dei leader più carismatici delle gang, Jimmy Cherizier (detto “Barbecue” perché era uso carbonizzare le sue vittime, come quelle dell’eccidio della bidonville di La Saline nel 2018) ha già annunciato la sua volontà di rovesciare il governo accusandolo di essere un pupazzo delle potenze straniere (riferimento agli Stati Uniti, che hanno sperato su di lui per ristabilire l’ordine nel corso della prima metà del suo mandato).
È interessante notare che la richiesta urgente del dipartimento di Stato per il gruppo d’élite arriva immediatamente sulla scia di una tesa udienza del Congresso in cui, mercoledì, il rappresentante Matt Gaetz della Florida ha “grigliato” la comandante di SouthCom, Laura Richardson. Gaetz ha chiesto alla generale quattro stelle se il governo degli Stati Uniti intendesse “attivare le autorità, anticipando una migrazione di massa”. Lei ha risposto: “Penso che dobbiamo essere posizionati in modo appropriato per questo. Ho fatto una richiesta di aumento della capacità di fare esattamente questo. E siamo pronti se dobbiamo affrontare una migrazione di massa”. Tuttavia, ha aggiunto, che se si scatena “un inferno” di folle migratorie di massa ci sarà bisogno di molto di più di un piccolo distaccamento di Marines.
Lo schieramento del Fast team ha un’evocazione storica: furono loro a intervenire contro le incursioni (cubane) alla Rodman Naval Base nel 1988, sempre loro a partecipare all’operazione Just Case su Panama nel 1989. Più di recente sono stati inviati in missione di combattimento a Bengasi, dopo l’assalto qaedista alla sede diplomatica in cui perse la vita il console Chris Stevens (una delle grandi ferite che segna ancora la memoria collettiva americana). In definitiva, crescendo la tensione a Haiti, gli Stati Uniti aumentano l’impegno perché la crisi del Paese caraibico potrebbe diventare una “nuova Cuba”.
D’altronde, le istanze e la retorica che Barbecue presenta nelle conferenze stampa militaresche (kalashnikov e tenuta mimetica davanti alle telecamere) sembrano simili a quelle dei leader golpisti saheliani. Dice che intende “liberare Haiti dai politici tradizionali e dagli oligarchi corrotti” e che “sono gli abitanti dei quartieri popolari e il popolo haitiano che devono prendere in mano il destino e scegliere i propri leader”, dichiarandosi a capo dei “figli di Jean-Jacques Dessalines” (che fu a capo dell’indipendenza haitiana del 1804). Stessi temi usati dai leader maliani o burkinabé, coloro che una volta preso il potere hanno chiesto l’aiuto dei contractor russi per combattere i propri rivali. E se gli Expeditionary Corps sotto il comando dell’intelligence militare arrivassero ai Caraibi?