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Modelli linguistici e allucinazioni. Ecco cosa tiene indietro l’IA cinese

Secondo un ente privato cinese del settore, la Repubblica Popolare deve ancora risolvere dei problemi rilevanti prima di raggiungere lo stesso grado tecnologico degli Usa. E una parte di questi problemi sono di natura ideologica

Il confronto tra superpotenze mondiali, che vede Pechino e Washington competere per la supremazia globale, passa attraverso molteplici dimensioni. In alcune di queste, la forbice di superiorità tra l’egemone statunitense e il suo concorrente cinese si fa sempre più stretta; in altre, come ad esempio nel settore dei missili ipersonici, Pechino sembra disporre già di un vantaggio rispetto al proprio rivale; ma in altre ancora, la superiorità americana continua a rimanere fermamente intoccabile dal Paese asiatico.

La Cina è ancora lontana dal raggiungere gli Stati Uniti per quel che riguarda i progressi dell’intelligenza artificiale, perché gli sforzi della nazione sono “disseminati di molte sfide essenziali nella teoria e nelle tecnologie”. È questo il quadro della situazione presentato di recente al premier cinese Li Qiang durante il suo recente giro di ispezione dell’Accademia di Pechino per l’Intelligenza Artificiale, un’organizzazione privata senza scopo di lucro fondata nel 2018 e impegnata nella ricerca e nello sviluppo dell’IA. Secondo la Baai, il principale ostacolo che Pechino si trova ad affrontare nelle sue iniziative concernenti l’IA generativa è l’eccessiva dipendenza dai modelli linguistici di grandi dimensioni (gli stessi utilizzati per addestrare ChatGPT e servizi simili di IA generativa), impiegati nella creazione di nuovi contenuti, tra cui audio, codice, immagini, testo, simulazioni e video. Modelli che però vengono prodotti all’estero, stressando la “grave mancanza di autosufficienza” in quest’area dello sviluppo dell’IA cinese.

Questa particolare carenza viene interpretato come un segnale tutt’altro che trascurabile del fatto che la Repubblica Popolare Cinese si trovi ad affrontare un crescente divario con gli Stati Uniti in termini di innovazione dell’IA. Sebbene le agenzie statali stiano lavorando in parallelo con le aziende tecnologiche private cinesi per sviluppare una serie di innovazioni nel campo dell’Intelligenza Artificiale, devono ancora affrontare la questione dei problemi legati alle infrastrutture informatiche per la formazione dei modelli linguistici. A partire dal contesto di base: nei documenti rilasciati dalla Baai si legge che “Decine di chip sviluppati localmente sono diversi in termini di famiglie ed ecosistemi”, fattore che rende “molto instabile” la formazione di parametri per modelli linguistici autoctoni. Le sanzioni tecnologiche imposte dagli Stati Uniti alla Cina hanno limitato l’accesso di Pechino ai semiconduttori avanzati, prodotti con tecnologia americana, per i propri progetti di sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Ma non sono solo i modelli linguistici a destare preoccupazioni. Un’altra questione importante sottolineata dalla Baai riguarda il controllo dei contenuti generati dall’IA. Le IA sviluppate in Cina devono affrontare una sfida che consiste nel generare “contenuti di qualità che siano in linea con i fatti”, pur tenendo conto dell’ideologia e delle varie emozioni. I chatbot basati sull’Intelligenza artificiale sono inclini a generare risultati imprecisi, definiti “allucinazioni”, che potrebbero non rispettare questi requisiti. Una limitazione ideologica che rappresenta un ostacolo per l’establishment del Partito Comunista Cinese, ma che ha una rilevanza molto inferiore per l’Occidente.

Occidente che, all’interno del format G7 a guida italiana, ha deciso di concentrare una parte delle proprie risorse su uno sviluppo consapevole dell’Intelligenza Artificiale. La recente la dichiarazione di intenti partorita dalla ministeriale di Trento su Industria, Tecnologia e Digitale sottolinea l’importanza di avere un’IA democratica, etica e responsabile. Caratteristiche che, seppur garantita nel mondo Euroatlantico, non lo sono nel Celeste Impero.



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