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Il filopuntinismo di Salvini mina le basi della democrazia liberale. Il commento di Cangini

Mai come oggi, Salvini appare un uomo solo. Sa che dal risultato delle europee dipenderà il futuro della propria leadeship e, come e più di sempre, è pronto a tutto pur di raggranellare quale voto aggiuntivo. Il commento di Andrea Cangini

Ovvio che l’uscita di Matteo Salvini sulla legittimità delle elezioni russe (“quando un popolo vota ha sempre ragione”) sia motivo di imbarazzo per il governo di cui pure è vicepremier. Lo dimostra la risposta diretta e piccata del solitamente moderato Antonio Tajani (“la politica estera la fa il ministro degli Esteri”). Lo dimostra il gelo di Giorgia Meloni, imbarazzata anche in quanto presidente di turno del G7.

A differenza del passato, però, questa volta le parole del segretario leghista non sono state rilanciate dai suoi fedelissimi. Delle due l’una: o Salvini si è subito pentito di un’uscita tanto iperbolica da aver ritenuto opportuno evitare che divenisse un coro; oppure anche chi gli sta attorno comincia a vedere in lui non più una soluzione, ma un problema. Di sicuro è questo il giudizio dei governatori leghisti, orientati, infatti, a disertare la kermesse sovranista che “il Capitano” terrà sabato a Roma. Assenze emblematiche.

Mai come oggi, Salvini appare un uomo solo. Sa che dal risultato delle europee dipenderà il futuro della propria leadeship e, come e più di sempre, è pronto a tutto pur di raggranellare quale voto aggiuntivo. La sua uscita filo putiniana, dunque, è rivolta alla componente di estrema destra del proprio elettorato come di quello di Giorgia Meloni e fa leva sul risultato degli ultimi sondaggi. Sondaggi scoraggianti, per chi ritiene che in Ucraina si stia giocando il futuro delle liberaldemocrazie europee. Secondo Ipsos, infatti, solo il 32% degli italiani condivide la linea del governo di inviare armi al popolo ucraino. Gli altri nostri concittadini sono a vario titolo contrari. Un dato drammatico, che rischia di diventare un problema serio per il governo.

Ecco, come per l’antieuropeismo di maniera che caratterizza la retorica demagogica di Salvini, è questo il danno maggiore rappresentato da uscite come quella di ieri. L’opinione pubblica non esiste, viene “formata” dai leader e da coloro che non a caso vengono definiti opinion maker. Raccontando dell’Europa solo i vizi e mai le virtù, Salvini e gli opinion maker di destra impediscono l’affermazione di quel sentimento sanamente europeista che servirebbe al governo così come alle imprese italiane. Analogo e forse peggior danno lo fanno le continue strizzate d’occhio agli elettori che hanno simpatia per Vladimir Putin o semplicemente paura della guerra. Il danno è colossale, e non riguarda solo l’interesse contingente del governo, ma la solidità dei principi liberal-democratici su cui si fondano la nostra democrazia e la civiltà occidentale.



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