La richiesta d’aiuto di Tiraspol riporta l’attenzione mondiale sullo stato separatista all’interno della Moldavia. A cui si aggiunge la meno nota questione gaugaza. Ma Mosca non può fornire risposte concrete. E forse non vuole neanche farlo
Fin dal 1991 la repubblica separatista della Transnistria è stata uno degli strumenti per eccellenza nel processo di influenza di Mosca sulla Moldavia; ma accanto alla più nota Transnistria, anche la meno conosciuta regione autonoma della Gagauzia è stata (ed è tutt’ora) sfruttata dal regime russo per esercitare pressione su Chisinau, al fine di mantenerla il più possibile nell’orbita della Federazione Russa ed evitare (o quantomeno rallentare) il suo avvicinamento all’Unione europea e all’Occidente in generale. La tattica del Cremlino è quella di stressare i malumori esistenti in entrambe le regioni per fare pressione su Chisinau, segnalando parallelamente la sua intenzione di occupare l’Ucraina sud-occidentale così da stabilire un ponte terrestre che colleghi l’entroterra russo alle due regioni filorusse. Difficile credere che il Cremlino possa, almeno nel breve periodo, raggiungere questi obiettivi. Tuttavia, il solo mostrare di volerli perseguire si può inquadrare in una più ampia strategia di brinkmanship seguita da Mosca nei confronti dell’Occidente, con la prima che alza costantemente la posta in gioco nella speranza di convincere il secondo a fare un passo indietro nel macro-teatro ucraino.
Gli sviluppi degli ultimi giorni sembravano rifarsi proprio a queste dinamiche. Mercoledì 28 febbraio il governo della Repubblica Socialista Sovietica Moldava di Pridnestrovia (nome ufficiale della Transnistria) ha adottato una risoluzione ufficiale che chiedeva alla Russia di intervenire in sua difesa di fronte alle crescenti pressioni esercitate della Moldavia. Richiesta che ha ricevuto una risposta quasi immediata dalle istituzioni russe, le quali hanno dichiarato che “la protezione degli interessi degli abitanti della Transnistria, nostri compatrioti, è una priorità”. L’aspettativa che si era creata a livello internazionale suggeriva che il presidente russo Vladimir Putin avrebbe affrontato la questione durante il suo annuale Discorso sullo Stato della Nazione, cosa che invece non ha fatto. Ciò ha permesso ai funzionari di Chisinau di liquidare la questione come un mero artifizio propagandistico, volto a distogliere l’attenzione all’interno della Transnistria dal deterioramento delle condizioni del Paese e ad attirare una maggiore attenzione da parte della Federazione Russa. Attenzione che, per il momento, può limitarsi soltanto all’aspetto diplomatico.
Nel frattempo, sembra che anche in Gaugazia ci si stia preparando a recitare lo stesso copione già visto in Transnistria. Gli attivisti Gagauz Halka, principale partito filo-russo della regione ufficialmente bandito sin dagli anni ’90 del secolo scorso, hanno annunciato di voler convocare un congresso parallelo a quello riunitosi in Transnistria per chiedere a loro volta aiuto e protezione dal governo moldavo. Ma al contrario di Tiraspol, i Gaugazi non si rivolgeranno solo a Mosca, dichiarando di voler appellarsi anche alla Turchia. Il motivo è semplice da intuire: la minoranza gaugaza è di etnia turcomanna, e risulta essere etnicamente molto simile al gruppo etnico dei turchi anatolici dominante in Turchia. Naturale dunque che essi guardino ad Ankara come a un “cugino” più grande. Difficile credere che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan deciderà di rispondere con azioni concrete; tuttavia, potrebbe sfruttare questa opportunità come “leva” diplomatica nel suo quantomeno ambiguo rapporto con Mosca.
La quale rimane comunque impossibilitata a recarsi in soccorso delle due repubbliche attraverso un “ricongiungimento”, non disponendo di un accesso diretto né via terra né via mare. E forse, dichiarazioni a parte, non vuole neanche farlo. La sussistenza di queste due entità separatiste all’interno dello Stato Moldavo permette a Mosca di limitare pesantemente il margine d’azione di Chisinau, secondo dinamiche del “Frozen Conflict” di cui abbiamo avuto molteplici esempi in passato. Anche se, a questo riguardo, l’intervento in Ucraina del febbraio 2022 ha stravolto completamente il paradigma preesistente.