Aumentare la capacità di vita non può non tenere in considerazione gli effetti e gli impatti che sull’ecosistema e sul piano relazionale. Ed è per questo che la sostenibilità necessita di un cambio di paradigma culturale. La libertà non può essere immaginata senza legami relazionali. Conversazione con Mauro Magatti
Sostenibilità e crescita, il sistema di relazioni, l’individuo e la società. L’assunto è che la sostenibilità, affinché sia tale – declinata nel senso più ampio del termine – va accompagnata a una sorta di rivoluzione culturale. Sono le tesi alla base del libro Generare libertà (il Mulino) scritto dai sociologi dell’Università Cattolica di Milano Chiara Giaccardi e Mauro Magatti. Ed è proprio quest’ultimo, nella sua conversazione con Formiche.net, a dare una chiave di lettura originale del testo.
Professor Magatti, le vostre analisi partono dal concetto di transizione. Un processo che, talvolta, trova alcune resistenze. Come se lo spiega?
È un processo complesso, che ha varie implicazioni. Il tema vero, è quello della sostenibilità – dalle fonti energetiche ai processi produttivi – che è un leitmotiv del dibattito pubblico contemporaneo. Purtroppo spesso non si capisce che al tema della sostenibilità è indissolubilmente legato quello della crescita.
Come uscire dall’impasse?
Il sottotitolo del volume, accrescere la vita senza distruggere il mondo, indica una strada abbastanza precisa che tiene assieme entrambi i concetti e che ottempera alle tante esigenze in campo. Aumentare la capacità di vita non può non tenere in considerazione gli effetti e gli impatti che sull’ecosistema e sul piano relazionale. Ed è per questo che la sostenibilità necessità di un cambio di paradigma culturale. Una rivoluzione, in definitiva.
Come incide tutto questo nel complesso equilibrio sul quale si imperniano i sistemi democratici?
Nel libro citiamo John Locke secondo il quale la sostenibilità è raggiungibile solo per via autoritaria. Una soluzione che, evidentemente, per noi non è percorribile. La soluzione è più complessa, in qualche misura weberiana. La libertà è tale proprio in virtù del fatto che è “immersa” in un ecosistema di relazioni. Dunque lo sforzo e l’anelito alla libertà deve essere duplice: da una parte volto a debellare le relazioni dannose, dall’altro crearne di nuove. In quanto liberi, noi siamo qualificati dal tipo di relazioni che creiamo.
Dunque, seguendo questo ragionamento, non vale l’equivalenza che fa corrispondere a meno legami maggiore libertà.
È vero l’esatto contrario. Cioè il libro spiega che non è immaginabile una libertà svincolata dalle relazioni.
La politica è pronta a recepire questo messaggio?
Assolutamente no. La politica schiaccia il senso di libertà tra le due polarizzazioni: da una parte il progressismo, dall’altra il populismo. Tanto a livello nazionale, quanto a livello internazionale. La sinistra è diventata individualista e tecnocratica, non portando avanti più alcuna istanza. A destra ci si è dimenticati del liberismo.
Non è sempre stato così.
No, Thatcher e Reagan hanno saputo interpretare la società che cambiava, sull’onda del ’68. I due statisti hanno capito che l’orientamento dei partiti conservatori non poteva più essere ancorato alla salvaguardia del passato ma orientandoli sulla salvaguardia delle libertà individuali in relazione al mercato e al consumo. Ora, con la sostenibilità, occorre un processo più o meno analogo che può essere promosso tanto da destra quanto da sinistra.