La lista elettorale dedicata agli “Stati Uniti d’Europa” avrebbe senso se fosse il battesimo di una nuova formazione politica. Se, cioè, i capi dei rispettivi partitini fossero così generosi e lungimiranti da mettere sul piatto del progetto politico comune la propria testa, ovvero la propria leadership. Leadership spesso indiscutibili ed indiscusse. Ma non è così. Il commento di Andrea Cangini
Alla voce “Lista di scopo”, il Dizionario Treccani scrive così: “Elenco di candidati a una competizione elettorale che, pur non facendo parte di una formazione politica, si impegnano a perseguire un obiettivo specifico”. In Italia, si ricorda un unico precedente: quello orchestrato da Giuliano Ferrara.
Nel 2008, l’allora direttore del Foglio lanciò la lista di scopo “Aborto? No, grazie” con l’intenzione di portare in Parlamento un certo numero di personalità che avviassero una revisione critica della normativa sull’interruzione di gravidanza e sulla cultura dei diritti che la sottende. Non andò bene. Ferrara non ottenne l’apparentamento con il Popolo delle libertà di Silvio Berlusconi e riuscì di conseguenza a presentare la sua lista solo alla Camera dei deputati dove ottenne lo 0,3% dei consensi. “Più che una sconfitta, una catastrofe”, commentò.
Tuttavia, per quanto fallimentare, quell’operazione politica fu coerente con il concetto di lista di scopo. E lo fu anche perché, fortunatamente, il tema dell’aborto non faceva parte del dibattito pubblico italiano né del programma di alcun partito politico. Non si può dire lo stesso degli Stati Uniti d’Europa. Concetto e sbocco politico formulato dal profetico Luigi Einaudi già alla fine Ottocento e oggi presente nella retorica di molti partiti politici, soprattutto di quelli che a Bruxelles aderiscono al Ppe, al Pse e all’Alde.
Riunire, perciò, in un’unica lista elettorale dedicata agli “Stati Uniti d’Europa” Italia Viva di Matteo Renzi, +Europa di Emma Bonino, i Libdem di Andrea Marcucci, il Psi, Volt e magari anche, cosa ad oggi impensabile, Azione di Carlo Calenda, suona tanto come un mero escamotage per superare la fatidica soglia di sbarramento del 4%.
Tutto ciò avrebbe un senso se fosse il battesimo di una nuova formazione politica. Se, cioè, i capi dei rispettivi partitini fossero così generosi e lungimiranti da mettere sul piatto del progetto politico comune la propria testa, ovvero la propria leadership. Leadership spesso indiscutibili ed indiscusse. Ma non è così. Impera la regola secondo cui è meglio essere capi assoluti di in partitino che correre il rischio di rimpolpare le seconde file di un grande partito. Emma Bonino l’ha detto chiaramente: “Con Renzi facciamo una lista di scopo, non una federazione, né un accordo politico. Il giorno dopo ognuno va dove meglio pensa”.
Lo “scopo” è dunque retorico, il progetto politico inesistente: buona fortuna!