Conversazione con il responsabile di ricerca nel programma Ue, Politiche e Istituzioni dell’Istituto Affari Internazionali: “C’è una grandissima differenza nel modo in cui si pongono Scholz e Macron. Il grosso dibattito su quante armi comprare da Paesi terzi e su quanto sia necessario riuscire a sviluppare una industria europea deve essere tenuto insieme in qualche modo. Senza dimenticare cosa accadrebbe in caso di vittoria di un presidente americano più isolazionista”
Sono due leader molti diversi Emmanuel Macron e Olaf Scholz, dice a Formiche.net Matteo Bonomi, responsabile di ricerca nel programma Ue, Politiche e Istituzioni dell’Istituto Affari Internazionali, secondo cui al di là del merito del meeting in corso sull’Ucraina, sarà importante far andare a dama due indirizzi precisi e paralleli: il dibattito su quante armi comprare da Paesi terzi e lo sviluppo di una industria europea. Nel mezzo ci sono, fisiologicamente, da un lato le elezioni europee che potrebbero portare qualche leader ad eccedere in dialettica e proposte più radicali, e dall’altro la possibilità che alla Casa Bianca torni un presidente isolazionista.
Secondo il ministro degli esteri Antonio Tajani con truppe a Kyiv si rischia guerra mondiale: ha ragione?
Secondo me il problema messo così è mal posto. Di sicuro ci sono stati grossi attriti, soprattutto di retorica, tra il presidente francese e il cancelliere tedesco, anche riguardo a quali messaggi mandare al pubblico rispetto a ciò che deve fare l’Unione europea sul supporto all’Ucraina. La questione non è se mandare o meno le truppe Nato in Ucraina in questo momento, che non credo sia neanche l’intenzione di Macron, ma quella di segnalare la determinazione del nostro supporto all’Ucraina e le modalità attraverso le quali questo supporto deve essere in qualche modo organizzato ed eseguito.
Parigi e Berlino sembrano parlare due lingue diverse?
L’obiettivo comune credo sia condiviso tra Scholz e Macron, quello di non permettere all’Ucraina di perdere la guerra e, anzi, di riconoscere l’assoluta necessità che l’Ucraina la vinca. Ovviamente i due leader sono molto diversi, sia per personalità che per audience e ciò porta anche a due culture strategiche della difesa completamente diverse. Quindi questo processo verso un obiettivo comune porta spesso ad avere pubblici nei quali i due leader sembrano molto più distanti di quello che non siano realmente.
Cosa innesca nell’opinione pubblica questa nuova disputa?
Il punto è l’elemento che ha innescato questa nuova polemica, anche tra le opinioni pubbliche, sulla possibilità o meno di usare missili a lunga gittata che, va ricordato, richiedono una competenza tecnica. Un campo in cui il confine tra coinvolgimento e non coinvolgimento di uno Stato terzo nella guerra diventa più sottile: ciò si collega alle differenze dei leader. Scholz è stato decisamente più prudente rispetto ad altri colleghi europei, tant’è che qualche sera fa in televisione la ministra degli esteri tedesca aveva ha ipotizzato uno scambio col Regno Unito: la Germania avrebbe rifornito il Regno Unito di questi missili a lunga gittata e il Regno Unito li avrebbe girati all’Ucraina. Per cui c’è una grandissima differenza nel modo in cui si pongono Scholz e Macron.
Al di là della questione delle truppe Nato, altamente divisiva, quanto sarebbe più utile fare ciò che hanno proposto von der Leyen e Meloni circa la consegna in tempi rapidi a Kyi di più munizioni?
Molto. Io credo su questo ci sia una convergenza tra Germania e Francia, ma il nodo è sempre il modo in cui realizzarlo. Berlino è stata molto irritata nel modo in cui i meccanismi europei sono stati attivati anche per il fondo per la difesa. Ho visto una certa irritazione da parte di Berlino rispetto al modo in cui gli Stati membri hanno fornito all’Ucraina armi non di primissimo ordine e poi si sono fatti rimborsare dall’Unione europea per rinnovare i propri armamenti. Accanto a ciò c’è il grosso dibattito all’interno degli Stati europei su quante armi comprare da Paesi terzi e su quanto sia necessario riuscire a sviluppare una industria di europea. Ovviamente queste due cose devono essere tenute insieme in qualche modo. Ma il vero nodo sta sia della disputa tra Berlino e Parigi su come finanziare questo fondo e soprattutto sulle difficoltà che Parigi che Berlino ha avuto rispetto anche alle varie decisioni delle proprie Corti interni. La Corte Costituzionale tedesca si è anche espressa con scetticismo rispetto alla possibilità di replicare delle esperienze simili e quindi è tutta una partita politica interna alla Germania anche per riuscire a trovare delle forme per rendere compatibile questo accrescimento del budget europeo.
Macron ha usato parole forti, quando in tv ha parlato di “sudore, sangue, lacrime”. Il punto di caduta secondo la sua opinione potrebbe essere il cambio di economia che Macron chiede al suo Paese cioè avviare la cosiddetta economia di guerra come fatto da Putin?
Di sicuro nel recente passato c’è stata una retrocessione del mercato e c’è la consapevolezza da parte di Macron della necessità di ricostruire un’industria della difesa più forte in Europa. Credo che questo obiettivo sia condiviso anche dalla Germania che, in questo momento, è più incline a comprare armi da altri Paesi. Vedo una sorta di “whatever it takes” alla Draghi da parte di Macron sull’Ucraina. Quindi il messaggio di Macron era “supporteremo l’Ucraina senza se e senza ma”: tale mobilitazione include soprattutto un’economia che sia in grado di dare i rifornimenti che probabilmente sono mancati. Ma non è tutto.
Ovvero?
C’è la grande incognita delle elezioni americane e questo incide sugli obblighi all’interno dell’Alleanza atlantica e sulla capacità europea di contribuire più di quanto non sia stato fatto finora. Se a Washington ci fosse un Presidente più isolazionista questo sarebbe un tema.