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Cara Meloni, serve pensiero critico per non scendere dalla giostra. I consigli di Sisci

Il Pci elaborò una teoria, l’eurocomunismo, per segnare la via di un passaggio dei partiti comunisti a una collaborazione democratica con gli Stati Uniti. Oggi, forse, per dare continuità e spessore al suo lavoro, Fratelli d’Italia dovrebbe elaborare una teoria analoga per ingaggiare l’ultradestra filo-putiniana europea. Scrive Francesco Sisci

In questi giorni la stampa di centrodestra appare in uno stato di panico per la sconfitta in fondo di stretta misura in Sardegna. Molti nella coalizione, e forse tra gli stessi Fratelli d’Italia, pare siano contenti di uno schiaffo a Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio il partito poi, ormai a giorni dall’esito, non hanno espresso un’analisi compiuta di che sia successo e che significhi quel voto. Ciò sarebbe il primo passo per pensare a cosa fare per ripartire.

In realtà, oggi non c’è un esame della sconfitta perché dopo la vittoria elettorale di settembre 2022 non c’è stata un’analisi del successo, come precisa Calogero Mannino. Non si è elaborato cosa aveva portato al risultato e cosa bisognava fare per rispondere alla domanda degli elettori. In quel momento bisognava attrezzarsi per dare riscontri compiuti, organizzare una classe dirigente.

Forza Italia di Silvio Berlusconi, che arrivò al successo in modo altrettanto rapido, “acquistò” classe dirigente dall’esterno, cosa che condizionò la sua azione di governo ma gli permise di durare oltre un ventennio. Il Movimento 5 Stelle anche ha cercato di reclutare all’esterno ma in modo incontrollato. Il risultato è stato che un esterno, ovvero Giuseppe Conte, si è preso il partito/la struttura elettorale e che non c’è classe dirigente.

Fratelli d’Italia era forse più come Forza Italia che come il Movimento 5 Stelle. Cioè entrambi avevano un nucleo dirigente. In Forza Italia erano i quadri di Fininvest che avevano messo in piedi il partito. In Fratelli d’Italia erano i militanti stretti intorno ai dirigenti originari. Ma Fratelli d’Italia poi non ha allargato, ragionato, analizzato cosa davvero fare ma ha semplicemente lanciato il cuore oltre l’ostacolo come fece il Movimento 5 Stelle.

Forse Forza Italia, che veniva dalla gestione di una grande azienda, sapeva che gestire il governo non sarebbe stato semplice e si attrezzò. Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle non avevano alcuna esperienza di amministrazione e forse semplicemente hanno pensato che il potere fosse andare a Palazzo Chigi e avere accesso ai bottoni. Tali bottoni poi, le strutture burocratiche del Paese, erano già usurate da decenni di incuria o distrazione; quindi, non erano così efficienti come durante la Prima repubblica.

La conseguenza è quella banale del panico o soddisfazione (a seconda dei punti di vista) per una sconfitta di pochi voti, e non si capisce perché sia successo e soprattutto che bisognerebbe fare ora.

Questa assenza di analisi, con le prossime tornate di voto in Abruzzo, Basilicata fino alle europee, rischia di diventare un supplizio di Tantalo, una fuga isterica imposta poi agli italiani che, quasi al 50%, hanno votato con i piedi, non recandosi alle urne, contro questo teatrino elettorale.

Né Conte per il Movimento 5 Stelle né Elly Schlein per il Partito democratico ha fornito un’analisi del risultato in Sardegna o di cosa voglia fare la loro amministrazione e come intendono procedere in futuro. Anche lì, successo o insuccesso pare dipendano da capricci degli dei, congiunture astrali, altezza di lignaggio o bell’aspetto.

Siamo tornati nel mondo degli eroi dell’Iliade, incoscienti e manovrati dai fili del Fato, dalla mano di Apollo che afferra una freccia di Paride e la conficca nel vulnerabile tallone di Achille. Ma dalla nascita della filosofia, gli uomini si sono mossi capendo che il proprio pensiero critico, la coscienza, è necessario a navigare il mare delle incertezze.

Ciò è stato per millenni la bussola della politica. Che oggi i partiti vincitori e vinti non analizzino e pensino è una bizzarria della storia destinata a portare alla fine di questi partiti o quella del Paese dove albergano.

Proporrei qui invece alcuni primissimi elementi di analisi. C’è la questione del leader della Lega Matteo Salvini. È sotto assedio. La sua scommessa di fare una Lega nazionale è fallita. Un ritorno alla Lega nord ha molte difficoltà. Oggettivamente la sua spinta per l’autonomia differenziata delle regioni aumenta le forze centrifughe nel Paese e (intenzionale o no) gioca a favore del presidente russo Vladimir Putin che vuole la frantumazione dei Paesi europei e dell’Unione europea. In questo momento internazionale una fuga su questo terreno è molto incerta.

I suoi margini di azione sono allora limitati. Se non fa niente viene divorato da Fratelli d’Italia, partito di destra a tutto tondo, o da Forza Italia (qualora quest’ultimo decidesse di darsi una mossa di pensiero). Quindi il suo unico spazio vero è una guerra più o meno silente di attrito con Fratelli d’Italia. D’altro canto, se la Lega rinunciasse alla autonomia differenziata perderebbe la sua ragione d’essere.

Meloni potrebbe-dovrebbe “federare” la Lega, per toglierla alle sue spinte autonomistiche ed eliminare l’attrito. Per questo Fratelli d’Italia dovrebbe darsi una nuova struttura di governo interno, più collegale e democratico. Ma sia Meloni sia Salvini sono abituati a essere soli al comando, padroni a casa propria, ciò implicherebbe una rivoluzione di coscienza per entrambi.

Alla fantasia di ognuno immaginare cosa succederà nel prossimo futuro. Probabilmente solo un aumento dell’attrito.

A sinistra la situazione è simile con fratture comunque profondissime nel Partito democratico tra un’ala governista e un’ala populista che vorrebbe inseguire il Movimento 5 Stelle. Lì il miraggio del potere, desiderato da tutti, tiene unito l’abbraccio e forse lo stringerà ancora nei prossimi mesi. Ma le vie del governo sono diverse. Un ritorno all’amministrazione psicotica da Grande Fratello Premier con “soldi gratis per tutti” del Conte I o II porta diritti alla bancarotta nazionale, con risultati uguali o peggiori dell’autonomia differenziata. Non a caso filoputiniani hanno fili anche con Conte.

Per altre vie il risultato è lo stesso: la frantumazione del Paese. Se Conte si rassegna a un ruolo minore, ovviamente come Salvini oggi, rischia l’estinzione. Quindi il dilemma è simile. Ma è un problema di domani, e nel mondo dell’incoscienza, giustamente, nessuno ci pensa.

La questione vera forse viene da un’altra parte. Lunedì 26 febbraio, il giorno dello spoglio dei voti in Sardegna, l’evento davvero importante era la cospicua semi-assenza dell’Italia al vertice sull’Ucraina di Parigi. Erano andati venti capi di Stato o di governo, di cui 15 dell’Unione europea. Il Regno Unito aveva mandato David Cameron, ministro degli Esteri ed ex premier. Roma era presente con Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri. Al vertice il presidente francese Emmanuel Macron ha posto con urgenza la necessità di difendere l’Ucraina contro l’attacco russo, di aumentare l’invio di armi e non ha escluso la possibilità di mandare truppe a sostegno di Kyiv. Si è trattato di un cambio di passo dell’atteggiamento finora quasi distratto dell’Europa sulla guerra e ha segnato probabilmente l’inizio di uno sforzo congiunto occidentale comune contro Putin. L’Italia, presidente di turno del G7, avrebbe dovuto andare con la presidente del Consiglio o un ministro di peso, come Antonio Tajani (Esteri) o Guido Crosetto (Difesa).

Certo, Meloni era andata a Kyiv qualche giorno prima insieme a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e poteva risparmiarsi Parigi. Ma che non ci siano andati poi Tajani o Crosetto appare bislacco. Non è uno sgarbo dell’Italia alla Francia, è un atto di isolamento di Roma rispetto all’Europa, in un momento particolare, la presidenza italiana del G7.

Di sicuro non aiuta il governo in questo momento perché moltiplica all’esterno la sconfitta sarda. Il fatto che il governo non veda il collegamento tra assenza a Parigi e politica italiana si deve proprio a una mancanza di coscienza politica complessiva. Nella mancanza di coscienza vale solo il temperamento, l’intuito. Meglio stare primi a Roma che secondi a Parigi.

Ciò si somma al fatto che, come scriveva martedì Tommaso Labate del Corriere della Sera, le reazioni dure dei giornali di centrodestra al risultato sardo, mostrano che emerge l’insofferenza a lungo patita della coalizione verso Meloni. Tale tendenza è confermata e rafforzata da un isolamento all’estero.

Gli italiani, da sempre attenti ai cambiamenti di vento e lesti a saltare sul carro del vincitore potrebbero presto fiutare il sangue, accelerare il processo.

Non è un risultato finale. Ci sono ancora altre tre elezioni regionali prima dell’appuntamento per il voto europeo ma ora proprio queste tre tornate e gli screzi internazionali mettono Meloni in un giro di montagne russe dove lei rischia di perdere la testa prima del posto.

Qui il pensiero critico è fondamentale. Lei può pensare di avere vinto non perché è l’ultima canzonetta del momento (tutti hanno avuto un giro al potere negli ultimi dieci anni) ma perché era destinata dagli dei. Può credere da qualche parte della sua coscienza di avere compiuto una specie di rivincita di un pensiero tolkeniano di destra, di essere una specie dei signora degli anelli.

Non è così, credo. Semplicemente l’Italia ha una politica consumata e incapace e per questo gli elettori hanno votato tutti nella speranza di cambiare le cose. Meloni era l’ultima nella lista delle persone da provare. È toccato a tutti, è toccato anche a lei. Lei quindi o costruisce qualcosa di più solido su questo suo turno alla giostra, o scenderà al prossimo giro.

Nel concreto, l’incontro con il presidente americano Joe Biden le ricorda che c’è una realtà particolare di cui prendere coscienza. Al di là di eventuali simpatie o speranze per Donald Trump per tutto il 2024 sarà Biden il capo di Stato e gli Stati Uniti vorrebbero da Fratelli d’Italia qualcosa di molto concreto: il controllo delle forze pro Putin Italia e nell’Unione europea. Si tratta dell’ultradestra europea da riportare all’ovile euroatlantico, un po’ come fece 40 anni fa il Partito comunista italiano con il Partito comunista dell’Unione Sovietica. È stato apprezzato il ruolo di Meloni nel convincere il premier ungherese Viktor Orbán a togliere il veto all’ingresso della Svezia nella Nato.

Andare avanti su questo cammino potrebbe non essere facile poiché non si tratta di interventi occasionali. Allora il Partito comunista italiano elaborò una teoria, l’eurocomunismo, per segnare la via di un passaggio dei partiti comunisti a una collaborazione democratica con gli Stati Uniti. Nel 1855 il Piemonte voleva semplicemente espandere il suo territorio ma abbracciò le tesi unitarie italiane e il costituzionalismo per avanzare le sue ambizioni.

Oggi, forse, per dare continuità e spessore al suo lavoro, Fratelli d’Italia dovrebbe elaborare una teoria analoga per ingaggiare l’ultradestra filo-putiniana europea. C’è bisogno di un pensiero conservatore liberale che offra sponde vere e solide di cambiamento o alternativa alla formazione di Marine Le Pen in Francia, per esempio.

Ciò significherebbe un impegno nuovo e radicale. Lo prenderà? È possibile che lei ora aspetti e speri l’arrivo di Trump, a cui si sente più affine. Solo che ammesso e non concesso che Trump venga eletto lo si saprà solo a fine novembre. Se traccheggia fino ad allora l’amministrazione Biden che farà? Se con Alexei Navalny, al cui funerale a Mosca hanno partecipato migliaia di persone, si aprono fratture in Russia che fanno tremare il fronte ucraino, se Israele alla fine rimette ordine a Gaza, l’utilità marginale di Meloni scompare. Questo, in tutto o in parte, potrebbe accadere nei prossimi mesi, ben prima delle elezioni.

Per questo Meloni ha bisogno di scendere dal luminoso carro delle favole o dei miti ed entrare nella grigia metropolitana del pensiero critico.

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