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Il dadaismo di Salvini non paga. Meglio la pragmatica Meloni. Parla Orsina

Il leader del Carroccio cerca di conquistare lo spazio a destra, coerentemente con la sua posizione. Questo irrita la premier e Forza Italia, ma lui “copre” un campo politico che nella destra esiste. Lo spartiacque per la leadership interna saranno le europee. Anche per Schlein. Conversazione con il politologo della Luiss, Giovanni Orsina

Quella del leader della Lega, Matteo Salvini è una tattica “che sulla carta può avere una sua linea di coerenza, ma che all’atto pratico non funziona”. Fatto sta che il vicepremier, dal palco della kermesse sovranista, è riuscito in un trittico non indifferente. Ha attaccato la presidente della Commissione europea, von der Leyen (sostenuta da Meloni), ha lanciato stoccate a Forza Italia e ha irritato la premier, Giorgia Meloni. “Ha fatto una scelta coerente, che tuttavia elettoralmente non paga”. L’analisi è di Giovanni Orsina, politologo e direttore della Luiss School of Government.

La tattica di Salvini non sta funzionando elettoralmente. Dove vuole arrivare?

In termini puramente politici, Salvini gioca da terza punta in un tridente d’attacco: cerca i voti di destra, lasciando il centro a Forza Italia e provando a erodere consensi a Meloni. Ha fatto una scelta molto chiara di posizionamento, che ha ribadito e che mantiene coerentemente. Poi, al di là della politica, pesa anche il fattore umano: Salvini è come un giocatore che si sia conquistato con grande fatica un rigore e che poi abbia visto un compagno di squadra – Meloni – tirarlo e segnarlo. La frustrazione è comprensibile.

Id sta crescendo, ma la Lega perde terreno.

Vero, ma la crescita della famiglia politica a cui il Carroccio appartiene non è un fattore secondario nella strategia di Salvini. Anzi: l’espansione di Id potrebbe diventare per lui una risorsa importante. In questo rafforzamento potrebbe incidere molto – politicamente – un’eventuale affermazione di Trump alle presidenziali americane.

Resta il fatto che, anche laddove la Lega era storicamente più forte – sui territori – ora perde consensi. Perché?

Perché non c’è corrispondenza tra quello che Salvini dice e quello che poi può realmente fare. Il margine operativo, stando al governo comunque con Meloni e Tajani che hanno una linea – in particolare in politica estera – molto diversa dalla sua, è risicato. Per cui, molti elettori decidono di premiare Meloni. Nei territori in cui la Lega era forte, l’elettorato è attratto dal pragmatismo del premier piuttosto che dal “dadaismo” di Salvini.

Chi ci guadagna, in questo marasma?

Antonio Tajani. Infatti, quando Salvini esprime una posizione, generalmente distante da quella degli azzurri, il leader di FI ribatte con una posizione esattamente contraria. Per cui, la linea Salvini conviene a Tajani perché in qualche misura contribuisce a scolpire ulteriormente il profilo moderato dell’azzurro.

La credibilità di Salvini, all’interno del partito, è ancora solida?

Insistere su una linea che paga poco è rischioso per la sua leadership interna. E, in questo senso, il vero spartiacque saranno le elezioni europee di primavera.

In più, c’è un tema di credibilità personale…

Sì, un po’ come successe a Matteo Renzi dopo il referendum del 2016. Allo stesso modo, Salvini dopo il Papeete nell’estate 2019, non si è più ripreso in termini di credibilità.

In termini di leadership, anche a sinistra nel Pd le acque sono agitate.

Decisamente. Anche per la segretaria Elly Schlein le elezioni di primavera saranno una tappa fondamentale. Tanto più che il Pd, rispetto alla Lega che è un partito più granitico, ha una tradizione “segretaricida” abbastanza consolidata.

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