Skip to main content

Meloni tra scivoli europei e italiani. Il commento di Sisci

Con i partiti della destra radicale, Fratelli d’Italia potrebbe non essere sufficiente a dare loro una maggioranza ma aumenterebbe la fatica di gestione del parlamento. Se si schierasse, invece, con popolari e socialdemocratici contribuirebbe alla stabilità della maggioranza e a isolare l’ultradestra

I conti non sono facili da fare senza numeri, e i numeri dei risultati delle elezioni europee arriveranno solo dopo il voto a giugno. Funziona così nelle democrazie liberali.

Ciò detto ai risultati bisogna andare preparati con varie opzioni, a seconda delle tendenze in atto. Queste sono oggi che i partiti di destra, sospettosi dell’Unione europea e nostalgici dei “bei tempi” senza l’euro, avanzeranno. Ma, non avranno la maggioranza assoluta. Anzi la maggioranza relativa resterà nelle mani dei partiti popolari e socialdemocratici che da sempre hanno dominato l’Unione europea

Qui può diventare cruciale come si pone Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Se si schierasse con i partiti della destra radicale forse non sarebbe sufficiente a dare loro una maggioranza, ma aumenterebbe la fatica di gestione del parlamento. Se si schierasse con popolari e socialdemocratici invece contribuirebbe alla stabilità della maggioranza e a isolare quella ultradestra che proprio un secolo fa trascinò il mondo nella più grande guerra della storia. La stampa internazionale in queste ore sostiene che le frizioni tra Meloni e la leader della ultradestra francese Marine Le Pen denunciano che l’italiana ha scelto di stare con la maggioranza tradizionale. È un passo importante per l’Italia e per Meloni perché la mette in gioco per le scelte cruciali della prossima commissione, cosa che poi avrà riflessi positivi sia sull’Italia che sul suo partito.

Ma non è una chimica semplice, matematica, quella in gioco, piuttosto è alchimia, magica. Infatti perché dopo giugno questa formula funzioni c’è bisogno di altri due elementi, in America e in Italia.

In America c’è bisogno che Donald Trump perda alle elezioni presidenziali della fine di novembre. Se Trump fosse eletto il progetto potrebbe saltare. L’Unione europea è stata per gran parte della sua storia un progetto americano. Se Trump presidente appoggerà la Russia di Vladimir Putin e i partiti dell’ultradestra, contrari all’Unione europea, l’unione rischia di essere travolta o messa in grandissima difficoltà. Se viene rieletto invece Joe Biden il progetto originale resta in pista.

Questa incertezza rende spinosa la scelta di Meloni che deve decidere che fare a giugno mentre il “verdetto” finale americano arriverà cinque mesi dopo, con la Commissione già insediata e al lavoro. Se Meloni sceglie la “linea Biden”, come pare possibile, rischia di stare dalla parte sbagliata a dicembre. A quel punto, con Trump, dovrebbe decidere se fare una giravolta trumpiana, e provare l’eterna futilità italiana, o restare filo europea con gli eventuali costi conseguenti. Per inciso i conservatori britannici di Rishi Sunak non sono con Trump, pur fuori dall’Unione europea. Meloni potrebbe comunque decidere di appoggiare l’ultradestra dopo il voto di giugno, ma si troverebbe in posizione difficile poi se vincesse Biden.

In sostanza, non ci sono scelte facili o furbe gratis sul tavolo. Cioè le scelte furbe vengono tutte con dazi pesanti per il partito e il Paese.

A ciò si somma la vicenda italiana. La recente “sconfitta” in Sardegna di pochi voti non ha provato la debolezza del governo. Ma le reazioni hanno sottolineato l’insofferenza degli alleati e degli amici al governo di Meloni. È accusata, a ragione o torto, di essere sprezzante o irridente nei confronti delle opposizioni o delle critiche. Si dice che mal sopporti il predeessore Mario Draghi e il suo dioscuro Francesco Giavazzi, il cui aiuto però viene sollecitato a ogni piè sospinto. L’Unione europea popolar-social-democratica vorrebbe un ruolo futuro per Draghi in una Europa che non vede altri italiani con autorevolezza propria. Secondo pettegolezzi romani Meloni aborrisce invece un ruolo di Draghi che la possa mettere in ombra. Così come secondo quelle voci aborrisce tanti che, a destra o non, vogliano starle vicino ma in maniera critica, non prona. Saranno solo voci ma dicono di instabilità sul fronte interno.

Così lo spazio degli alleati è più facile. Forza Italia di Antonio Tajani, popolare, è lì a raccogliere i frutti della maggioranza moderata europea. Altro è per la Lega di Matteo Salvini che scommette sull’ultradestra in Europa e Trump in America. Egli avrebbe interesse a far saltare il banco e creare più confusione possibile per avere l’Italia e l’Europa in fibrillazione in vista del voto. L’unico rischio è che il caos poi si ritorca contro la Lega. I leghisti sono rivoluzionari con la villetta a schiera. Marciano coi trattori su Roma per i loro conti in banca, non certo per la rivoluzione proletaria. Il caos vero, non quello da operetta che gli piace tanto, li mette in crisi. Oggi Salvini ha tre ministeri importanti: Interno, Economia e Infrastrutture. Improbabile che possa ambire a più in altri governi.

Così Salvini forse può aspettare. Come dice il saggio Calogero Mannino, a Salvini bastano poche idee: che vinca Trump, che le destre radicali abbiano un risultato condizionante nell’Unione europea. In tale contesto se nel frattempo sarà approvata la sua grande riforma costituzionale per l’autonomia differenziata alle regioni e il premierato potrebbe sfidare Meloni. Alla fine dell’anno si potrebbe fare la crisi e ricomporre il centro destra su un’altra base. Il progetto è temerario perché poi ha due perni incerti, la vittoria di Trump e l’ondata della destra radicale. Ma Salvini può aspettare e se le due palle non vanno in porta potrebbe svoltare di 180 gradi. Non sarebbe la sua prima o ultima volta. Lui resta oggettivamente la minaccia più grande per Meloni, che non riesce a neutralizzarla.

Mancano invece progetti a sinistra, divisa tra chi tifa Trump – come il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte – e gli altri invece forse per Biden, ma di sicuro senza slancio. Il progetto di Meloni resta più solido. Ma deve tenere tante palle in aria, con un Salvini spina nel fianco, e restare attenta a cambiare gioco all’improvviso, senza davvero alleati. Facile allora inciampare non per le vittorie altrui ma per l’isolamento proprio. In questa complicazione forse lei ha ragione a cercare di navigare a vista, o forse le occorrerebbe una strategia di lungo termine più solida. Chissà.


×

Iscriviti alla newsletter