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Modello italiano per il centrodestra europeo. Campomenosi (Lega) spiega come

“Gli Stati Uniti? Hanno saputo attirare sugli obiettivi di transizione investimenti addirittura dall’Europa. La nuova commissione? Altri si assumeranno la responsabilità eventualmente di confermare una maggioranza con le sinistre che ha avuto l’abilità in questi anni di imporre al Ppe un’agenda che è quella di Timmermans. Comunque sono gli elettori, ovviamente, a decidere chi avrà i numeri”. Conversazione con il capodelegazione leghista al Parlamento europeo, Marco Campomenosi

Alcune iniziative assunte dai vertici europei vengono ampiamente criticate dai nostri partner internazionali, dice a Formiche.net Marco Campomenosi, capo delegazione della Lega al Parlamento europeo e componente della commissione trasporti. Il riferimento è all’EU Emissions Trading System (Ets) o alla Carbon Board, la cosiddetta Cbam. Il risultato, spiega, è che le nostre aziende perdono in competitività. In vista delle prossime elezioni europee, l’eurodeputato leghista cerchia in rosso quali sono i controsensi europei e come potrà coagularsi a urne chiuse una eventuale coalizione in stile centrodestra italiano. “Serve pragmatismo, la Lega è l’unico partito nel gruppo Id che si trova al governo, quindi comprendo che certi miei colleghi abbiano un approccio diverso dal mio”.

Bruxelles ha scelto la strada dell’iper-legislazione con standard green che lei ha definito molto “ambiziosi” che metteranno in difficoltà le nostre aziende nel mercato globale: per quale ragione?

Io argomento questo tema anche in riferimento ai rapporti che ho a livello internazionale extra europeo, in quanto membro della Commissione Trasporti e della Commissione Commercio Internazionale, cariche che mi portano spesso a Singapore, Giappone, Abu Dhabi, come in occasione del vertice del Wto della scorsa settimana. Osservo che gli operatori e i partner internazionali ci dicono chiaramente che certe misure non intendono adottarle nella loro realtà.

Con quali conseguenze?

Questo contraddice quanto la Commissione ha spesso detto. Ad esempio, quando abbiamo esteso l’Eu Emissions Trading System (Ets) al mondo del marittimo, la Commissione ci ha detto che lo avrebbe fatto tutto il mondo, mentre invece ciò non sta avvenendo. L’Ets è già un esempio di provvedimento su cui si può intervenire, perché basterebbe una piccola correzione per far sì che gli effetti negativi di perdita di traffici rispetto ai porti extra europei del Nord Africa, su cui ci sono grandi investimenti e che non sono soggetti a questa tassazione, non impattino negativamente sui porti italiani di transhipment come Gioia Tauro. Un altro esempio è la Carbon Board, la cosiddetta Cbam, che al Wto di Abu Dhabi è stata molto criticata dai partner internazionali, quelle stesse realtà che criticano anche l’intervento sulla deforestazione. Per fortuna il Consiglio lo ha bloccato recentemente, su iniziativa tedesca e austriaca, e si è fatto convincere per fortuna anche il governo italiano sulla cosiddetta corporate diligence. Altrove non è così.

Dove?

Ricordo che gli Stati Uniti hanno, con un provvedimento molto semplice, saputo attirare sugli obiettivi di transizione investimenti addirittura dall’Europa. Eppure Joe Biden venne criticato all’inizio, accusato di fare un’operazione protezionista che violava le regole del Wto. E invece sta attuando in questo senso politiche virtuose a parità di obiettivi. Inoltre l’iper legislazione crea anche un problema in prospettiva, perché la Commissione nei prossimi anni specialmente su provvedimenti molto tecnici come quelli che riguardano i carburanti del futuro di aerei, automobili e navi dovrà redarre una serie di atti delegati, quelli a Roma si chiamano decreti attuativi, molto complessi e attesi dall’industria. E sono talmente tanti i provvedimenti su cui dovrà agire con questa normativa di livello secondario che qualcuno comincia a dubitare che sia un carico di lavoro possibile per la Commissione.

Una settimana fa la prima nave cargo della casa automobilistica cinese Byd ha scaricato circa 3.000 veicoli elettrici nel porto tedesco di Bremerhaven. Cittadini europei e indotto sono pronti a questa rivoluzione copernicana?

Secondo me ci sono dei rischi perché non sono stati esaminati, probabilmente volutamente, da parte della Commissione europea. Come Lega, abbiamo chiesto una maggiore neutralità tecnologica, un maggiore impegno per mettere fondi sulla ricerca che aiutassero ad arrivare prima a soluzioni alternative all’elettrico, abbiamo chiesto che si facesse uno studio sull’impatto delle batterie, tenendo conto dell’intero ciclo di vita, dall’estrazione alla raffinazione delle materie prime, fino allo smaltimento. Su questo credo ci sia stata quantomeno un po’ di ingenuità da parte della Commissione, ma anche da parte dei produttori che ci inviavano a inizio legislatura dei position paper molto ottimistici sul fatto di saper gestire tale processo.

In seguito?

Quando invece poi si sono accorti che la capacità cinese era ben superiore alla loro si sono creati due ordini di problemi: primo, il vantaggio che si dà a quel produttore, tant’è vero che oggi si parla secondo me in maniera molto ingenua anche a livello di impatto geopolitico di produttori cinesi che possono valutare di entrare a Mirafiori piuttosto che in altre realtà; in secondo luogo esiste un tema di emissioni che non avverranno più nel nostro centro storico, dove circoleranno, magari nella mobilità urbana e per chi se lo potrà permettere, delle automobili a zero impatto ma le emissioni vengono delocalizzate laddove si raffinano le materie prime e quindi in maniera un po’ ipocrita, a mio avviso.

Verrà modificata la data della fine del motore a scoppio?

Anche l’attuale candidata alla presidenza della Commissione ha presieduto una seduta che quel testo ha voluto e lo ha voluto con forza. Noi, invece, abbiamo votato a favore di Euro sette, che è un impegno a ridurre le emissioni per i motori anche di generazione precedente, ma abbiamo votato contro la fine dei motori tradizionali: siamo contrari alla fine del motore a scoppio nel 2034 perché avrà un impatto negativo sull’industria e sui posti di lavoro.

Crede che sia esportabile a livello Ue lo schema del centrodestra italiano?

Molto dipenderà dai numeri che ci saranno a urne chiuse, già oggi basterebbe poco. So benissimo che esistono dei veti che riguardano soprattutto alcuni partiti che fanno parte del mio gruppo. Capisco che nel Ppe questi veti restino, però registro un dato: ogni qual volta c’è stato bisogno, e lo abbiamo fatto per esempio quando abbiamo bloccato una normativa eccessivamente ambiziosa sui fitofarmaci nell’agricoltura o quando abbiamo tolto gli allevamenti bovini dal report emissioni industriali, ciò è avvenuto solo grazie a tutti i voti del gruppo Id. Voglio dire che serve maggiore pragmatismo. Capisco bene anche che alcuni dei partiti che fanno parte del nostro gruppo oggi siano ancora in una fase della propria storia in cui la parte di protesta prevale rispetto a quella di proposta: la Lega è l’unico partito nel gruppo Id che si trova al governo quindi comprendo che certi miei colleghi abbiano un approccio diverso dal mio, perché non hanno la responsabilità di rispondere ai territori che governano. Quindi io non porrei limiti di alcun tipo.

In che senso?

Nel senso che vedo fasi molto diverse nei prossimi mesi, ovvero dopo la campagna elettorale le elezioni e quindi la formazione dei gruppi che, di fatto, possono ampliarsi, ridursi o fondersi. E solo dopo l’estate ci sarà l’elezione della nuova Commissione, o meglio, i governi indicheranno un nome nel Parlamento che lo confermerà. Io non sono così sicuro che quel nome sarà poi quello finale e decisivo. Vedremo. Altri, se vorranno, si assumeranno la responsabilità eventualmente di confermare una maggioranza con le sinistre che ha avuto l’abilità in questi anni di imporre al Ppe un’agenda che è quella di Timmermans. Poi comunque sono gli elettori, ovviamente, a decidere chi avrà i numeri.


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