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Il nemico silente. Per Manciulli il terrorismo non è scomparso, anzi

L’Occidente è preso da altre dinamiche, ma deve considerare il terrorismo un nemico tutt’altro che in disarmo. Già prima dell’attentato a Mosca, il rapporto “Il nemico silente” di MedOr sottolineava la continua minaccia del terrorismo in un arco che dall’Asia centrale raggiunge i confini dell’Europa. Airpress ne ha parlato con l’autore, Andra Manciulli, direttore Relazioni istituzionali di MedOr

Dai cosiddetti Paesi “Stan” centro asiatici fino ai Balcani, passando per Caucaso, Medio Oriente e Sahel, la cosiddetta Mezzaluna del terrore continua a rappresentare una minaccia tutt’altro che sopita per l’Occidente, e l’attacco a Mosca è solo l’ultima dimostrazione di una sfida che il Vecchio continente non dovrebbe sottovalutare. Airpress ne ha parlato con Andra Manciulli, direttore Relazioni istituzionali di MedOr.

Mesi fa, prima dell’attacco a Mosca, lei per MedOr ha scritto un rapporto, Il nemico silente, nel quale si sottolineava l’importanza che non si distogliesse l’attenzione dal terrorismo jihadista, in un momento in cui l’interesse generale era rivolto – comprensibilmente – al conflitto in Ucraina e a quello a Gaza. L’evento in Russia ha dimostrato che il terrorismo è tutt’altro che sopito. Qual è invece lo stato attuale di questa minaccia?

Abbiamo deciso di scrivere il rapporto per un motivo molto chiaro: com’è sempre accaduto nella storia del jihadismo, i movimenti terroristici hanno sempre approfittato degli spazi vuoti creati dai conflitti e dalle tensioni internazionali. Quel silenzio apparente al quale si stava assistendo da un paio d’anni in realtà non avrebbe dovuto lasciarci tranquilli, ma doveva spingerci ad aprire una riflessione su quanto stava accadendo in alcune aree del mondo, in particolare in Afghanistan e, di riflesso, nelle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale.

Ci spieghi.

Come sappiamo, dopo il ritiro occidentale dall’Afghanistan si è instaurato un governo guidato dai talebani. Una componente di questa nuova leadership è ancora legata ad Al Qaeda, che però oggi si è sviluppata secondo un doppio registro: non è più solo una organizzazione terroristica, ma anche una unità politica che cerca di costruire insieme ai talebani un governo radicale islamista in Afghanistan. La pericolosità di questa evoluzione è che adesso, accanto alla tradizionale minaccia di suoi attacchi, Al Qaeda riesce a esercitare anche una influenza “diplomatica” sulle zone limitrofe, usando il potere garantitogli dall’essere al comando di una entità territoriale per radicalizzare anche tutti i Paesi che lo circondano, i cosiddetti Paesi “Stan” (Uzbekistan, Kazakistan, Turkmenistan, Kyrgyzstan e Tajikistan). A questa influenza si contrappone l’altra grande organizzazione terroristica presente nel Paese, l’Isis nel Khorasan, che ha instaurato una sorta di competizione con Al Qaeda.

E questo a cosa ha portato?

Questa competizione ha portato la costola di Daesh a contrapporsi, di conseguenza, a tutti quei Paesi che negli ultimi mesi hanno in qualche modo legittimato il nuovo governo afghano. Non è un caso che gli ultimi due attentati più importanti degli ultimi tempi siano avvenuti a Mosca e in Iran, in occasione della commemorazione per la morte di Soleimani, così come dall’Uzbekistan e dal Tajikistan venivano molti dei sospetti terroristi arrestati in Europa negli ultimi anni. Aggiungo, inoltre, che questi cosiddetti Paesi Stan sono praticamente tutti governati da regimi autocratici più filo-russi che islamisti. La repressione attuata molto spesso in questi Paesi favorisce di conseguenza un approccio radicale in chiunque si opponga a questi governi. In quest’area, infatti, la tipologia di militanti delle organizzazioni terroristiche è un po’ a metà strada tra combattenti ribelli e jihadisti, dovuta alla tipologia particolare di confronto che si sta sviluppando in queste regioni.

Nel rapporto si cita la presenza di una sorta di Mezzaluna del terrore, che partendo proprio dall’Asia centrale, attraversa il Medio oriente fino all’Africa, allungandosi fino ai Balcani. Di cosa si tratta?

È uno scenario che va considerato con grande attenzione. L’idea di Mezzaluna del terrore è sicuramente un’immagine accattivante dal punto di vista grafico, ma i in realtà risponde a quella linea tracciata da Osama Bin Laden sulla proliferazione dei fronti come metodo per mettere in crisi e in difficoltà il contrasto al jihadismo da parte dell’Occidente. Nel rapporto vengono identificate come aree estremamente preoccupanti regioni estremamente diverse, dalla Siria al Sahel, ai Balcani, tutte accomunate dal fatto che sono spazi nei quali il terrorismo si nutre delle contraddizioni, dei conflitti e di alcune grandi tematiche globali che favoriscono l’appeal del terrorismo.

In questo senso, un’area particolarmente importante, anche per il nostro Paese, è quella del quadrante africano e del Sahel.

Qui si sta realizzando la tempesta perfetta, perché è un luogo dove si concentrano tutti i fattori che da sempre hanno favorito il terrorismo. C’è una forte tensione geopolitica e interna, con otto colpi di Stato, e una difficoltà dei governi nel controllare i propri confini. A questi fattori si somma la crisi climatica, legata alla conseguente penuria alimentare e idrica, gioca un ruolo fondamentale nello spingere una parte della popolazione a migrare, e un’altra ad approfittare di questi traffici (umani, di armi e di droga) contribuendo a quell’economia illegale con la quale il terrorismo si finanzia. Si tratta, dunque, di un’enorme area del disordine che può influenzare da vicino la politica e la sicurezza dell’Europa. Per questo è importante la presenza europea in questi luoghi, perché significa presidiare i rubinetti della potenziale destabilizzazione europea.

Altra regione di instabilità, soprattutto per la Russia, è il Caucaso…

Per la Russia, il Caucaso è sempre stata una zona di grande importanza per quanto riguarda il terrorismo. La storia russa è costellata di attacchi portati avanti da questa regione. Ultimamente, per esempio, l’appoggio all’invasione russa dell’Ucraina di un personaggio come Ramzan Kadyrov, definito il “macellaio di Groznyj” per la sua repressione nella città cecena, ha attivato contro di lui una galassia di oppositori che, come dicevamo, si trovano a metà strada tra militanti ribelli e jihadisti. La diaspora cecena, inoltre, sparsa un po’ in tutta Europa e legata anche a vari tipi di criminalità più o meno organizzata, ha giocato anche un importante ruolo logistico per il terrorismo in Europa, fornendo per esempio appoggi o armi. Non dimentichiamo che l’attentatore di Arras aveva origine cecena, così come molte delle armi usati per gli attacchi nel Vecchio continente, a partire da Vienna, arrivavano da questa regione.

Nel cuore dell’Europa c’è poi un’altra zona di forte preoccupazione, quella dei Balcani. Qual è la situazione qui?

I due arresti più significativi fatti di recente a partire da indagini italiane venivano dai Balcani: Husein Bilal Bosnic e Shefqet Krasniqi, predicatori che reclutavano nuovi adepti per le organizzazioni terroristiche, così come dalla regione venivano molte delle cellule arrestate in Italia, tra cui quella che progettava l’attentato al ponte di Rialto. La tensione, esacerbata dal conflitto in Ucraina, tra il cristianesimo ortodosso – caricato di idee nazionaliste da Mosca – e l’Islam (elemento cruciale anche nelle guerre jugoslave) sta dando vita a un nuovo movimento anti-musulmano, che funge da carburante per il jihadismo nell’attrarre sempre di più le minoranze islamiche della regione.

In questa disamina, un ruolo particolare lo gioca anche il Medio Oriente.

Che il terrorismo non fosse sopito sarebbe stato vero anche qualora non vi fosse stato l’attacco del 7 ottobre, che ha rappresentato la sublimazione di tutti questi elementi. Da anni il richiamo alla vicenda palestinese e gli attacchi allo Stato di Israele sono stati uno dei temi più evocati dal jihadismo. L’attuale situazione a Gaza, in realtà, sta fornendo carburante incredibile per la crescita di solidarietà e simpatia nei confronti del terrorismo, ed è per questo che è molto importante, come stanno facendo gli Usa, provare ogni cosa per impedire l’escalation in quell’area.

Cosa dovrebbero fare, allora, l’Europa e il nostro Paese per non farsi trovare impreparati da questo “nemico silente”?

In questo momento l’Occidente è preso da altre dinamiche, ma deve considerare il terrorismo un nemico tutt’altro che in disarmo. L’Europa, dunque, deve rapidamente costruire una sistema di politica estera e sicurezza comune che ricomprenda il contrasto al terrorismo. È una necessità assoluta che non è più rimandabile, e io spero che i Paesi del Mediterraneo sappiano per primi dare il buon esempio e fare pressione affinché questo percorso acceleri. Basti riflettere al fatto che se negli Stati Uniti vincesse una leadership pronta a togliere la sua presenza militare nel Mediterraneo, a cominciare dalle portaerei, L’Europa rimarrebbe a difendere tutti i sui mari, dal mar del Nord, al Baltico, al Mediterraneo passando per l’Atlantico, con solo due portaerei, quella francese e la nostra; molto meno di quanto servirebbe. L’Europa non può fare l’errore di non essere pronta. Dobbiamo prenderci le responsabilità che ci competono sul terrorismo e sulla difesa, perché solo riequilibrando questo possiamo – insieme agli Stati Uniti e agli altri alleati – rispondere al nostro dovere di difendere i valori democratici e una certa idea di società, che purtroppo è messa fortemente in questione.

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