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Che cosa faranno gli elettori di Nikki Haley alle elezioni di novembre?

L’ex ambasciatrice all’Onu ha annunciato il proprio ritiro dalle primarie, rifiutandosi tuttavia di dare, almeno per il momento, l’endorsement a Trump. Un Trump che nel frattempo è stato decretato candidato presidenziale in pectore de facto dal Comitato nazionale del Partito Repubblicano. L’analisi di Stefano Graziosi

Sul fatto che saranno Joe Biden e Donald Trump a sfidarsi alle presidenziali americane di novembre, ci sono ormai ben pochi dubbi. Il Super Tuesday della scorsa settimana ha infatti certificato il fallimento degli sfidanti interni dei due frontrunner. Nel campo democratico, il deputato Dean Phillips ha annunciato il suo ritiro, lasciando in corsa soltanto la scrittrice Marianne Williamson e l’imprenditore Jason Palmer, che non hanno oggettivamente alcuna speranza di conquistare la nomination. A fare un passo indietro, nel campo repubblicano, è stata poi Nikki Haley che, al Super Tuesday, era riuscita a vincere soltanto in uno Stato sui quindici. L’ex ambasciatrice all’Onu ha quindi annunciato il proprio ritiro, rifiutandosi tuttavia di dare, almeno per il momento, l’endorsement a Trump. Un Trump che nel frattempo è stato decretato candidato presidenziale in pectore de facto dal Comitato nazionale del Partito Repubblicano (l’ex presidente, senza più rivali in campo, ha attualmente 1.075 delegati: un numero molto vicino alla soglia dei 1.215 necessari per blindare matematicamente la nomination).

La domanda che adesso sorge è: come si comporteranno gli elettori della Haley a novembre? Cominciamo dai numeri. L’ex ambasciatrice ha vinto solo in due appuntamenti elettorali: alle primarie di Washington DC e a quelle del Vermont, conquistando un totale di 94 delegati. Tutto questo, mentre – a livello di voto popolare – ha raccolto in tutto quasi 764.000 voti pari a circa il 31%. Ebbene, come si comporteranno i suoi elettori a novembre? I sondaggi, per ora, danno risultati discordanti. Secondo una rilevazione dell’Emerson College, il 63% sosterrebbe Biden contro un 27% a favore di Trump. Secondo The Hill, la stessa rilevazione sottolinea anche che “il 52% dei sostenitori della Haley ha votato per Biden nel 2020”: va d’altronde ricordato che, stando a Nbc News, il Super PAC dell’ex ambasciatrice aveva esortato gli elettori dem a sostenerla alle primarie repubblicane del South Carolina. Un altro sondaggio, condotto dalla Quinnipiac University, ritiene invece che il 50% dei repubblicani pro Haley voterebbe per l’ex presidente a fronte di un 37% che darebbe invece il suo appoggio a Biden. L’unico dato su cui queste due rilevazioni sembrano fondamentalmente concordare è quello degli indecisi: per la prima, sarebbero il 10%; per la seconda, il 12%.

Andando al di là dei numeri sondaggistici che restano per ora piuttosto volatili, è possibile fare alcune considerazioni. Innanzitutto va rilevato che, nel 2016, Trump vinse le primarie repubblicane con il 45% dei voti: sommando i voti dei suoi tre principali avversari di allora – Ted Cruz, Marco Rubio e John Kasich – si arrivava a circa il 50% dei consensi complessivi. Ciò non impedì comunque al magnate di vincere le presidenziali di quell’anno, pur non riuscendo a ottenere la maggioranza nel voto popolare. In secondo luogo, non bisogna ritenere che l’elettorato della Haley sia omogeneo e pronto a boicottare compattamente l’ex presidente a novembre. Tra i sostenitori dell’ex ambasciatrice ci sono senza dubbio elettori visceralmente antitrumpisti che non voteranno mai per lui. Il punto è che però il voto pro Haley non è stato in toto un voto anti-Trump. In primis, pur non amando granché l’ex presidente, una fetta degli elettori dell’ex ambasciatrice resta fedele al Partito Repubblicano indipendentemente dal candidato presidenziale. Inoltre, chi ha votato la Haley guardando alle singole proposte elettorali è difficile che possa virare automaticamente su Biden. L’ex ambasciatrice ha portato avanti un programma favorevole a una significativa riduzione della spesa pubblica: l’esatto opposto delle politiche economiche finora adottate dall’attuale inquilino della Casa Bianca. Inoltre, anche su un dossier delicato come l’immigrazione clandestina, la Haley è in definitiva più vicina alle posizioni di Trump che di Biden.

Certo, il presidente americano ha già iniziato a corteggiare gli elettori dell’ex ambasciatrice e, secondo Politico, sarebbe soprattutto interessato ad attrarre i suoi finanziatori più influenti. È chiaro che la campagna di Biden spera di provocare delle defezioni nel campo repubblicano che possano azzoppare la corsa di Trump. Il punto è che per il presidente questa strategia potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Come detto, chi ha votato la Haley sulla base del programma è di certo piuttosto lontano da Biden: al di là dell’immigrazione e della spesa pubblica, un ulteriore elemento di distanza è testimoniato dalla crisi di Gaza. Se la Haley è convintamente filo-israeliana, Biden sta cercando di barcamenarsi, per evitare che l’ala più a sinistra del Partito Democratico (che è su posizioni filo-palestinesi) possa rivolarglisi contro a novembre. Questo vuol dire che, se intende realmente avvicinarsi agli elettori dell’ex ambasciatrice, Biden potrebbe rischiare di ritrovarsi scoperto a sinistra, come accadde a Hillary Clinton nel 2016. Non dimentichiamo che alle recenti primarie in alcuni Stati cruciali, come Michigan e Minnesota, una minoranza significativa di elettori dem ha votato per l’opzione “non allineato” anziché per il presidente in carica.

Senza infine trascurare che anche Trump potrebbe incontrare dei problemi. Visto che ha ormai quasi blindato la nomination, l’ex presidente ha già iniziato a rimodulare la sua campagna in vista della General Election. Da questo punto di vista, il tema della scelta del candidato vice diventerà centrale nelle prossime settimane. È possibile che possa emergere un ticket con la Haley? In linea teorica sì, anche se, almeno al momento, i rapporti tra Trump e l’ex ambasciatrice risultano particolarmente tesi. È chiaro che, in un simile scenario, Trump potrebbe federare le varie anime del Gop, come fece Ronald Reagan selezionando George H. W. Bush come suo vice nel 1980. È però altrettanto chiaro che, qualora l’ex presidente dovesse scegliere la Haley, l’ala trumpista dura e pura finirebbe probabilmente con l’irritarsi. Dall’altra parte, se Trump puntasse su una figura a lui politicamente più vicina, come la governatrice del South Dakota Kristi Noem, avrebbe maggiore difficoltà a compattare il variegato elettorato repubblicano. Per ora, la scelta di sintesi forse più efficace potrebbe rivelarsi quella del senatore Tim Scott, che è non a caso considerato uno dei candidati maggiormente papabili per la vicepresidenza. La strada tuttavia è ancora lunga.



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