Conversazione con l’europarlamentare di Forza Italia. L’Italia? “Può aspirare ad un vicepresidente. L’idea di arrivare a riorganizzare una maggioranza che ruoti intorno ai popolari, ma anche con gruppi diversi da quelli attuali, non è da escludere”
Non sempre le alleanze e le dinamiche nazionali corrispondono a quelle europee, dice a Formiche.net l’eurodeputato di Forza Italia, Salvatore De Meo. Secondo l’esponente popolare presente al congresso del Ppe di Bucarest assieme alla folta delegazione italiana, l’idea di arrivare a riorganizzare una maggioranza che ruoti intorno ai popolari, ma anche con gruppi diversi da quelli attuali, non è da escludere, consapevole che il Partito popolare è il “punto di riferimento di milioni di cittadini europei e lo continuerà ad essere determinandone quelle che sono le strategie future, sia in termini di alleanze ma soprattutto di azioni concrete”.
Il manifesto dei popolari costituisce una base programmatica per una strada comune da percorrere con i conservatori?
Deve essere un percorso base con il quale il Partito popolare si presenta non solo alle elezioni, ma anche al confronto con gli altri gruppi, per dare una scossa in positivo ad un sistema che nella legislatura in corso ha avuto spesso degli approcci ideologici, anzi delle degenerazioni ideologiche. L’idea che abbiamo ribadito a Bucarest è proprio quella di aver rappresentato in maniera chiara quella che è la nostra idea di Europa.
Ovvero?
Un’idea che rilanci il progetto europeo partendo dai territori e riducendo la distanza tra l’Europa, i cittadini e le imprese, che vanno invece accompagnati verso le sfide che noi intendiamo confermare ma declinandolo in maniera completamente diversa. Bisogna investire in credibilità e lavoreremo perché le imprese diventino protagoniste in questo percorso.
Rispetto a cinque anni fa sono aumentati gli Stati membri guidati da governi di centrodestra, con la presenza del Ppe. Che peso avrà questo elemento nelle urne di giugno, secondo lei?
Le elezioni sono sempre un momento in cui tutti i territori devono essere stimolati innanzitutto a comprendere l’importanza di questo appuntamento. In secondo luogo bisognerà capire in che modo il fatto che ci siano dei governi a trazione centrodestra stimolerà un certo voto elettorale che vada nella stessa direzione. Sulla carta potrebbe essere un elemento a favore e quindi dare una spinta maggiore a una composizione del Parlamento che sia più di centrodestra, ma saranno determinanti i prossimi mesi nel capire quale sarà l’idea di Europa vincente. Io credo che non sempre le alleanze e le dinamiche nazionali corrispondono a quelle europee. E allora questo è un tema molto delicato su cui bisogna insistere per far capire quanto è importante che ci siano delle convergenze su un’idea di Europa che sia la più corrispondente a quella che evidentemente vogliono i cittadini e soprattutto il sistema produttivo.
Che ne pensa delle parole di Breton? Il commissario europeo in quota Macron ha messo in dubbio la candidatura di von der Leyen?
Io credo che noi dobbiamo seguire la nostra strada: è chiaro che siamo in campagna elettorale, ognuno cerca di delegittimare la controparte, ma da che mondo è mondo il Partito popolare è stato e sarà la famiglia più numerosa con la quale si dovranno definire le maggioranze, soprattutto i programmi elettorali. Non condivido quelle parole che sono di parte: ormai il Partito popolare è il punto di riferimento di milioni di cittadini europei e lo continuerà ad essere determinandone quelle che sono ovviamente le strategie future, sia in termini di alleanze ma soprattutto di azioni concrete.
Da queste colonne l’ex ministro della difesa Mario Mauro ha detto che non riesce a immaginare uno scenario diverso da quello che coinvolga socialisti, liberali, popolari e anche se non tutta Ecr almeno una parte per la prossima commissione. Che ne pensa?
Probabilmente è stato condizionato da quello che è l’attuale contesto, mentre noi dobbiamo utilizzare queste settimane di preparazione fino al momento elettorale per dare una prospettiva anche diversa. Quindi l’idea di arrivare a riorganizzare una maggioranza che ruoti intorno ai popolari, ma anche con gruppi diversi da quelli attuali, non è da escludere. Dipende da come l’appuntamento elettorale sarà condotto dai singoli Stati, con un’idea di Europa che deve essere la più convincente possibile. Mi rendo conto che ci sono delle differenze di approccio dei singoli Stati e dei vari gruppi politici. La visione di Mauro probabilmente è fortemente legata a quello che è l’attuale scenario. Anche le simulazioni non danno delle grosse scosse, ma sicuramente ci sarà un posizionamento più centrale. Ecco perché ritorna ad essere determinante il Partito popolare e mi auguro che ci sia una maggioranza depurata di quelle degenerazioni e quelle ideologie che hanno purtroppo caratterizzato in negativo questa legislatura, rendendo poco credibile l’idea di Europa. Probabilmente questa maggioranza Ursula, in alcune delle sue azioni, si è troppo ideologizzata e ha avuto una scarsa credibilità.
Si riferisce al tema del green?
Green significa ovviamente pragmatismo. Nessuno ha mai pensato di ritornare indietro o di negare quelle che sono delle sfide ambiziose, ma esse vanno calendarizzate e declinate in maniera pragmatica. Il Green deal nasce prima ancora che il mondo cambiasse, prima con la pandemia, poi con due scenari di guerra che stanno incidendo negativamente sullo scacchiere globale. Quindi anche il Green Deal merita di avere una riflessione che ci permetta realmente di poterlo raggiungere. Il nostro approccio è molto concreto. Noi crediamo che non si possa indebolire il sistema competitivo della nostra industria e della nostra economia, perché solo con una economia forte e competitiva rispetto agli altri Paesi si possono raggiungere importanti sfide, sia della transizione verde che della transizione digitale. Quindi non ideologia ma scelte pragmatiche, concrete, che siano credibili e che mettano i cittadini e soprattutto le imprese in grado di poterle raggiungere insieme.
L’Italia può aspirare a un vicepresidente di Commissione?
Credo che Antonio Tajani sia stato chiaro nel commento a margine del congresso di Bucarest: certo che sì. Oggi l’Italia può ambire sia ad un portafoglio determinante, ma soprattutto anche ad un ruolo che riconosca una centralità che è stata legittimamente recuperata soprattutto da questo Governo, che vede l’Italia essere un punto di riferimento anche di altri partner europei e non solo.
Il tema della difesa comune tocca anche nostri asset riconosciuti a livello internazionale. Come questo elemento può essere valorizzato meglio assieme alla figura di un commissario ad hoc?
L’individuazione di un commissario alla difesa è sicuramente un primo passo importante verso un percorso di costruzione di una politica di difesa che vada oltre la nomina di un commissario, ma che bisogna allineare con una strategia della difesa comune, quindi anche dell’industria degli armamenti. Essa va evidentemente rafforzata e integrata anche con risorse economiche aggiuntive che ci permettano di realizzare concretamente una difesa. E poi va analizzata anche la fase delle regole, quindi io insisto sul fatto che tutto il processo di rilancio dell’Europa, ivi compresa la costruzione di una politica di difesa dal punto di vista concreto, transita attraverso la riforma dei trattati perché se non rivedremo i trattati è inevitabile che avremo molte resistenze che non ci permetteranno di compiere questa nuova architettura, che è stata ben delineata dai padri fondatori ma che non riesce ancora a ad esprimere tutte le sue potenzialità.