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Non possiamo amarci, forse ci amammo, magari ci ameremo. Past lives visto da Ciccotti

L’attrice e regista coreana Celine Song con “Past Lives” (2023), debutto alla regia, scrive una delicata storia d’amore puro e impossibile: atmosfere alla Eric Rohmer immerse nel concetto della reincarnazione

Oramai lo hanno capito tutti gli esordienti. Se vuoi che lo spettatore non esca deluso dalla sala, dopo i primi tre minuti di proiezione, devi raccontare la tua storia con l’inevitabile salto all’indietro, a scatola cinese. Espediente introdotto da Orson Welles in Citizen Kane (1941) e poi sistematizzato in Tradimenti (1983) da David Jones, tratto da quel genio del racconto da suspense quotidiana che è Harold Pinter. Una legge di mercato consolidata nel terzo millennio cui non può sottrarsi l’esordio alla regia di Celine Song, Past Lives (2023), distribuito in Italia in queste settimane.

Naturalmente la tecnica del racconto al contrario è motivata dal destino dei due adulti trentenni che si volevano bene da bambini a Seul, dodici anni prima. Divisi, dodicenni, dal destino, casualmente si ritrovano via internet, appunto dodici anni dopo. Lei, Nora (nome che occidentalizza quando emigra con la famiglia in Canada) diverrà scrittrice e sceneggiatrice a New York, lui, Hae Sung, rimasto in Corea, sarà un ingegnere.

Un giorno, appunto, Hae Sung (un sereno, concentrato, ma anche indeciso Teo Yoo, a seconda de casi), seguendo l’attività via web del regista Moon, padre della sua vecchia amichetta, la ritrova sotto il nuovo nome occidentale di Nora. Nel frattempo noi spettatori abbiamo già visto, poco dopo l’incipit, un paio di scene poetiche dei due ragazzi mentre tornano da scuola per le piccole vie in salita della vecchia Seul. Appunto, dodici anni prima. Sguardi pudichi, occhi bassi, silenzi, poche parole: quegli amori timidi che si vivono a dodici anni.

Nora risponde. Il legame è riallacciato via Skipe. I due si guardano con meraviglia per la prima volta da giovani ventenni. Si capisce che si piacciono. Inizia un reciproco cauto corteggiamento, fatto ancora di sguardi delicati, pause, silenzi. Sono costretti a guardarsi sullo schermo, che viviseziona l’immagine. Parole attente. Ma due frasi sono lo start-point del nuovo “racconto del cuore”: “Mi sei mancata.” “Anche tu”. Sta finalmente maturando un amore adulto. A questo punto il film potrebbe chiudersi. Debbono solo incontrarsi, o in Corea o in Usa. Ma sono passati solo cinquanta minuti.

La sceneggiatura, deus ex machina, ci aiuta. Non riescono a riabbracciarsi per i rispettivi impegni: lei studia da scrittrice; lui, prima il servizio di leva, poi la facoltà di ingegneria. Passano i mesi e Nora (brava Greta Lee nel mutare psicologia), sentendosi pressata da questo amore via web, chiede un periodo di riflessione. Hae Sung a malincuore deve accettare. Ella, poco dopo, incontra un giovane collega scrittore, Arthur. Si innamorano. Si sposano. Hae Sung, dal canto suo, si fidanza. Scorrono altri dodici anni.

Arriva finalmente il momento tanto rimandato di incontrarsi di persona. Dopo ventiquattro anni. Hae Sung, a New York in  vacanza, è invitato da Nora. Per lei è una prova del suo amore per Arthur (John Magaro: giustamente teso in alcuni momenti durante la visita di Hae Sung). Il giovane ingegnere, a sua volta, vuole verificare se il suo amore per Nora, seppur sposata, sia quello di sempre. Passano una serata al ristorante, tutti e tre. La conversazione per la maggior parte è in coreano tra i due vecchi amici d’infanzia. Poi tornano a casa. Hae Sung prende la valigia e Nora lo accompagna alla fermata di un Uber.

Prima dell’arrivo della vettura hanno ricordato lo in-yun, una credenza religiosa coreana. Secondo questa visione dell’esistenza le anime si attraggono in questa vita; ma lo hanno fatto nelle vite passate, migliaia di anni fa, e lo faranno nelle vite future. Ma ora, nel nostro caso, Hae Sun e Nora, seppur se si attraggono, non possono unirsi per motivi oggettivi (Nora è sposata e dice ad Arthur, “ti amo”: anche se lo spettatore indovina che il suo cuore ama altresì Hae Sung).

Infatti Celine Song li inquadra in piano ravvicinato, di profilo, in figura intera, sul marciapiede. In attesa del taxi. Nel momento dell’addio. Due sagome di profilo, di notte, illuminate scarsamente dai lampioni. Sembrano due personaggi di Eduard Hopper inquadrati da Martin Scorsese in Taxi Driver. Forse si amano ma non lo possono dire. Non si possono baciare. Lo spettatore immagina come tra loro corra appunto quella energia in cui essi credono.

La regia, in questo struggente finale di addio alla Alda Merini, su un marciapiede popolare dell’East Village di Manhattan, rispettosa dei mondi interiori, si traduce in una doppia carrellata. I due vanno lentamente alla fermata dell’Uber. L’ultimo interminabile sguardo, uno di fronte all’altro (di cui sopra). Arriva la vettura. Lei torna indietro da sola, il carrello l’accompagna. Scoppia in lacrime nelle braccia di Arthur che la attende sul cancelletto di casa. Come non pensare alla delicatezza delle storie d’amore di Erich Rohmer (il Raggio verde)?

Past Lives molto apprezzato dalla critica, accattivante nel raccontare una storia semplice, mostra la sua qualità più che nel soggetto nella direzione degli attori, inclusi i protagonisti preadolescenti. Si veda la scena in cui i due dodicenni si dividono per sempre, al bivio delle due piccole vie, nella vecchia Seul. Meno convincente il messaggio “esistenziale” buddista delle molte vite, sposato dal mercato. In tempi in cui nell’occidente cristiano abbiamo derubricato Cristo a semplice “buon uomo” e la resurrezione definita “invenzione dei preti”, molti si gettano nello in-yun senza saperlo. Ora c’è anche un film a consacrarlo. Buon tuffo nel futuro delle anime gemelle.



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