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Perché gli Houthi non lasciano, ma raddoppiano (c’entra anche l’Iran)

Gli Houthi continuano a martellare le rotte indo-mediterranee per interessi diretti (mostrare i muscoli al tavolo negoziale sullo Yemen) che coincidono con la volontà dei Pasdaran di spingere sul caos regionale. E infatti l’aumento degli attacchi coincide con il ritorno della nave spia iraniana Behshad

Tra le 4:20 e le 8:00 di mattina di sabato 9 marzo, le navi militati americane ed europee che si trovano nel Mar Rosso sono state costrette a fronteggiare 28 attacchi degli Houthi, così dice il Comando Centrale statunitense. Qualcosa del genere non succedeva dal 9 gennaio, quando i i miliziani nordisti dello Yemen lanciarono contemporaneamente 21 vettori offensivi contro le navi che solcano le rotte indo-mediterranee tra Suez e Bab el Mandeb. E due mesi fa, non era stata ancora avviata la missione di attacco anglo-americana “Poseidon Archer” e quella difensiva europea “Aspides” — l’ammiraglio Stefano Costantino, Force Commander dell’operazione, ha coordinato le operazioni degli europei dal cacciatorpediniere Caio Duilio, che non ha partecipato in questa occasione all’azione cinetica. Ciò significa che nonostante la presenza militare occidentale stia avendo risultati — per dire, di quei 28 tra missili e droni nessuno ha centrato il bersaglio — gli Houthi continuano ad attaccare.

Ed è vero che le capacità di attacco degli yemeniti che controllano metà Paese sono state in parte degradate, ma è altrettanto vero che la loro volontà (e capacità) resta.  Gli Houthi dicono di aver avviato la destabilizzazione delle rotte che legano Europa e Asia per difendere difendere i palestinesi nella Striscia di Gaza assediata da Israele. Questo secondo uno storytelling che punta anon renderli odiosi al mondo arabo (anzi). Nella realtà, gli Houthi combattono perché vogliono ottenere con la forza che quel controllo territoriale de facto diventi de iure. Davanti a loro, a negoziare, ci sono sauditi ed emiratini insieme al governo centrale di Sanaa (che a Sanaa non sta più perché la capitale è in mano agli Houthi).

I miliziani nordisti sanno che le loro controparti capiscono anche il linguaggio della forza: hanno combattuto una guerra, persa dai sauditi che in otto anni non sono riusciti a sconfiggere gli Houthi nonostante l’impegno diretto (insieme ad altri Paesi della regione, per primo gli emiratini) in difesa del governo amico yemenita. Ora vogliono che il cessate il fuoco avviato quasi due anni fa si concretizzi in una pace, hanno una visione pragmatica e potrebbero scendere a più di un compromesso. Accettabile per Riad e Abu Dhabi, super interessati alla stabilità, e consapevoli che sullo Yemen si muovono anche i contrappesi delle relazioni con l’Iran, in ricostruzione.

L’Iran è un tema complesso. Gli Houthi fanno parte del network della Resistenza, l’insieme di milizie sciite o in generale filo-iraniane che i Pasdaran hanno creato come forma di influenza regionale. Alcune di queste ormai, armate e istruite a sufficienza (anche nel come comporre certi armi, oltre che usarle), hanno iniziato a seguire un’agenda più indipendente. Tra questi, gli Houthi. “Mentre gli Houthi tengono in grande considerazione il leader supremo e la rivoluzione islamica, notevoli differenze li separano dall’Iran e dai suoi partner più stretti”, spiega il Council on Foreign Relations. Gli Houthi non praticano lo sciismo prevalente in Iran (duodecimano), anche se ne hanno incorporato alcune nella loro interpretazione dello saidismo; soprattutto, non sono stati fondati con l’aiuto dell’Iran, a differenza di altri gruppi come Hezbollah del Libano e l’organizzazione Badr in Iraq. E a differenza delle varie realtà sostenute dall’Iran, il leader Houthi Abdul-Malik al-Houthi non si vede come subordinato alla leadership teocratica di Teheran.

Tuttavia, il sostegno iraniano ha rafforzato l’abilità militare degli Houthi, aiutandoli nello show di forza nel Mar Rosso. In cambio, il gruppo ha esteso la portata dell’Asse di Resistenza antioccidentale dell’Iran (come ama farsi definire il network miliziano) lungo uno dei lineamenti geo-economici più importanti del mondo. Commentando l’azione da record (finora), il portavoce degli Houthi ha detto che in realtà non erano 28 i pezzi da combattimento impiegati nelle prime ore della mattina di sabato, ma 37, parte dei 403 ordigni usati dal 19 novembre a oggi. Droni, missili antinave da crociera e balistici, come quello che ha colpito nei giorni scorsi il cargo True Confidence procurando le prime vittime civili di questa battaglia indo-mediterranea.

Quanto accaduto crea “un enorme punto critico”, spiega Jennifer Griffin, capo della National Security a Fox News: “Se uno di questi droni/missili antinave affondasse una nave da guerra americana, gli Stati Uniti entrerebbero in guerra con l’Iran. Seguirebbe una grande escalation”. Anche perché nelle dichiarazioni che hanno seguito l’attacco a sciame di sabato è stata esplicitata la volontà di colpire non solo i cargo, ma anche le navi militari occidentali. Le quali si troveranno ad affrontare non un singolo ingaggio diretto, come quello sostenuto dal Caio Duilio la scorsa settimana (azione a difesa di una porta container italiana compiuta con qualità tecniche innovative che stanno facendo scuola, per altro), ma attacchi ancora più complessi. Per altro, gli Houthi hanno iniziato da un po’ l’uso di barchini esplosivi, di droni sottomarini e mine. E questo significa che l’arsenale è ricco e che forse qualche trasferimento dall’Iran sta continuando. E nonostante io controllo dei traffici sia anche tra i fini di missioni come “Prosperity Guardian”, quella a guida statunitense inglobata nella CTF153, task force che quest’anno è sotto il comando italiano nell’ambito della missione multinazionale “Combined Maritime Forces” attiva da anni prima del caos di questi mesi.

Nei giorni scorsi, è stato Mike Kurilla, generale che guida il CentCom, a spiegare l’aumento della complessità nel teatro indo-mediterraneo in un’audizione al Senato. C’è un sospetto operativo: questo generi di attacchi più ampi e sofisticati sembrano simili alle tecniche della saturazione ipotizzata da Hezbollah per ingolfare i sistemi di difesa aerea israeliani. Una tecnica studiata dai Pasdaran e trasmessa ai sodali libanesi. Per il Pentagono, l’Iran finanzia ed equipaggia questi gruppi, fornendo loro le capacità utilizzate per attaccare le forze statunitensi. Ma non solo: la nave spia Behshad — tornata in zona — fornisce probabilmente dati di targeting real time agli Houthi. “È un obiettivo?”, chiede un giornalista in conferenza stampa nella notte dopo che si era parlato di attacchi cyber contro la nave, che per questo avrebbe momentaneamente abbandonato le acque davanti a Gibuti — che bazzica da tre anni. Risposta dal portavoce del Pentagono: “Non ne sono a conoscenza, ma abbiamo consapevolezza su ciò che fa”. La partenza momentanea della Behshad ha coinciso con un calo degli attacchi. Al ritorno a largo di Aden, lo sciame, l’affondamento del Rubymar (che prima aveva tranciato tre cavi sottomarini) e l’attacco mortale alla True Confidence; più in generale l’aumento della cadenza quotidiana dei raid contro i mercantili.


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