Durante la visita di Meloni a Washington, l’amministrazione Biden ha offerto un’idea all’Italia: il Piano Mattei può diventare un volano per i progetti del G7 (che quest’anno l’Italia presiede) come la Pgii, partnership per sviluppare corridoi trasformativi in Africa
Integrare il Piano Mattei con i progetti di sviluppo lanciati dal G7 in Paesi terzi. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni torna dal Nordamerica con una proposta concreta ricevuta a Washington, dove nei vari incontri con l’amministrazione Biden le è stata offerta l’idea di muovere l’iniziativa strategica per l’Africa dell’Italia all’interno di progetti come la Partnership for Global Infrastructure and Investment (noto come Pgii, o anche Pgi).
Gli spazi ci sono, l’interesse politico anche. “Vogliamo contribuire a costruire ponti tra il Mediterraneo e l’Indo Pacifico, anche nei settori dell’energia e della connettività digitale, attraverso l’Africa e il Golfo Arabico”, spiegava Meloni lo scorso settembre, durante il suo intervento in occasione dell’evento che il G20 indiano aveva dedicato alla Pgi. Lo stesso evento in cui era stato presentato Imec, progetto che può dare sostanza alle iniziative della Pgi stesso.
La Partnership, lanciata a maggio 2023, si concentra sullo sviluppo di corridoi economici, ossia aree geografiche con investimenti integrati progettati per stimolare lo sviluppo. Collegati geograficamente, questi investimenti nei trasporti, nelle catene di approvvigionamento, nella transizione energetica, nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nei sistemi agricoli, nella salute e nella sicurezza sanitaria, dovrebbero portare a effetti più ampi e trasformativi. L’obiettivo è incrementare in modo significativo le opportunità di crescita di certe regioni del mondo: tra queste, quasi inutile dire che l’Africa ha un’attenzione speciale.
Al Vertice del G7 di Hiroshima, lo scorso anno, il presidente statunitense Joe Biden aveva per esempio annunciato la prima programmazione concreta, comunicando il sostegno degli Stati Uniti allo sviluppo del Corridoio di Lobito, che ha il potenziale per diventare un collegamento economico trasformativo che collega il continente africano da ovest a est. Questo impegno prevede lo sviluppo della ferrovia che diventerà la principale infrastruttura di trasporto ad accesso libero che collegherà la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), lo Zambia e l’Angola. I principi di connettività e sicurezza infrastrutturale, energetica, sanitaria e alimentare, sono di fatto del tutto simili a quelli ispirativi del Piano Mattei.
La Rdc è per altro uno dei cosiddetti “Paesi pilota” individuati dall’Italia per avviare le cooperazioni pensate dal piano presentato dal governo Meloni durante la Conferenza Italia-Africa di fine gennaio. Lo spazio per la sovrapposizione è chiaro. Anche perché è il Piano Mattei stesso a essere concepito in modo tale da permettere l’apertura a a collaborazioni, già nel sistema dei finanziamenti — lasciati per un terzo del previsionale aperti a ingressi terzi. E per il Corridoio di Lobito gli Stati Uniti hanno annunciato l’intenzione di finanziare, attraverso la Development Finance Corporation (Dfc), un investimento iniziale di 250 milioni di dollari per la ristrutturazione della ferrovia dal porto di Lobito, in Angola al confine con la Rdc, a Luau.
Il corridoio congolese è un progetto paradigmatico, perché nel suo obiettivo più ampio c’è quello di fare da apripista per implementare la connettività ferroviaria nella regione, consentendo investimenti in una zona agro-ecologica sottosviluppata per sostenere la sicurezza alimentare regionale, assicurando inoltre una via commerciale di libero accesso per i minerali critici — fondamentali per sostenere l’accelerazione della domanda globale di veicoli elettrici, in queste ore al centro delle dinamiche internazionali, e di altre tecnologie a favore della transizione tecnologica. È uno di quei vasti programmi con cui avviare una forma di cooperazione con mutuo interesse in Africa.
Ma non solo. C’è altro dal Pgii che per esempio riguarda la Europe-Namibia Partnership on Sustainable Raw Materials and Renewable Hydrogen, o progetti per impianti eolici in Egitto e a idrogeno in Marocco (entrambi tra i Paesi Politi del Piano Mattei), e un indirizzo generale agli obiettivi SDGs onusiani (che dai Paesi africani vengono visti come occasioni di slancio). Questi e altri progetti definiti “flagship” nei documenti del Pgii, vengono descritti come la “dimostrazione dell’impegno del G7 a lavorare con i partner per sviluppare ecosistemi trasformativi di infrastrutture di qualità e investimenti che supportino inclusione, crescita e stabilità economica dei partner beneficiari”.
Trovare dei meccanismi di coordinamento affinché il piano strategico italiano si integri, o ancora meglio funga da motore per progetti del Gruppo dei 7, italianizzandone in parte la visione, avviando screening di opportunità e creando visioni condivise, è uno degli obiettivi di lavoro del governo Meloni per il 2024. L’occasione della presidenza di turno del G7 è considerato già un ottimo volano, a cui aggiungere l’invito ricevuto direttamente da Washington ad agire in modo ancora più convinto e fluido in tale direzione.
L’ottica è di una cooperazione che coinvolga strutture come World Bank o il Fondo monetario internazionale, ma anche istituti finanziari privati americani e internazionali, e i fondi di sviluppo di Paesi alleati — come per esempio il Giappone, strategic partner italiano, molto interessato a trovare un corridoio di scorrimento per le sue vision che riguardano l’Africa (come racconta anche il palcoscenico offerto al Pgii nell’ultimo G7).