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L’attacco a Mosca mostra tutta la pericolosità dell’Is(kp). Conversazione con Valle

Per Riccardo Valle (The Khorasan Diary), “forse nelle prossime settimane ne sapremo di più, anche se la Russia cercherà di deviare molto il discorso sulla collusione fittizia con l’Ucraina”. L’Is nel Khorasan è un problema anche per l’Europa, tanto che ci sono già tracce della sua penetrazione, spiega l’esperto

Le autorità russe hanno comunicato che i morti dell’attentato al Crocus City Hall di Mosca sono saliti a 133, con 145 feriti di cui 60 in gravi condizioni. I numeri servono per identificare la dimensione dell’accaduto, un colpo devastante per la struttura di sicurezza e per Vladimir Putin, sferrato dallo Stato Islamico. Ma devastante anche per la sicurezza collettiva, perché l’operazione in Russia potrebbe significare che una filiale dell’Is sta crescendo e diventato una minaccia internazionale.

Sabato mattina, poche ore dopo l’assalto, è stata fermata un’auto vicino al confine con Bielorussia e Ucraina, a oltre 500 chilometri da Mosca: l’auto era una Renault bianca, tra quelle ricercate per arrivare ai responsabili. La polizia ha arrestato 11 persone sospettate di aver partecipato o di aver contribuito all’organizzazione dell’attacco, e tra loro ci sarebbero anche i 4 uomini che hanno fatto irruzione e sparato nel teatro. Il presidente russo ha commentato pubblicamente la vicenda in un videomessaggio alla nazione, in cui ha detto che verranno prese nuove misure antiterroristiche nel Paese e poi ha aggiunto che in Ucraina era stata creata “una finestra di opportunità” per far scappare gli attentatori.

È una narrazione attesa, accusare Kyiv e sollevare illazioni contro l’Occidente (già note ai tempi in cui il Cremlino sosteneva che la Cia fosse tra i responsabili della creazione dello Stato islamico si tempo dell’intervento in Siria). Nella realtà, “lo Stato islamico ha un nuovo target: la Russia”, scrivevano Colin Clarke, Lucas Webber e Riccardo Valle in un pezzo uscito su Foreign Policy già a maggio dello scorso anno. Valle, ricercatore focalizzato sul jihadismo tra Afghanistan e Pakistan, direttore della ricerca di The Khorasan Diary, spiega a Formiche.net che la scelta dello Stato islamico di rivendicare rapidamente — tramite Amaq News, media propagandistico che si camuffa da agenzia stampa — l’attacco ma di non identificare la provincia che lo ha compiuto significa che in questo momento l’Is non vuole esporre il proprio network, perché potrebbero esserci delle connessioni rintracciabili dalle forze di sicurezza. Ossia, vuole tutelare le capacità acquisite.

“Oggi è stato pubblicato anche uno statement più dettagliato comprendente anche le foto dei quattro attentatori: e questo perché lo Stato islamico voleva verificare se fossero riusciti a mettersi in salvo, ma poi quando Putin ha annunciato il loro arresto è stato diffuso quel comunicato di Nashir News, media outlet che ha utilizzato la classica terminologia tipica dell’Is e mostrato gli autori. Ma non c’è stata nessuna indicazione sull’affiliazione diretta di chi ha agito, quando invece si poteva presupporre che fosse la provincia del Caucaso a ricevere l’onore delle armi, perché a essa vengono affidate le operazioni in Russia”, spiega Valle.

Appena dopo l’attacco, si è ipotizzato subito che l’azione fosse stata condotta dalla Provincia del Khorasan dello Stato islamico, che attualmente è la più attiva delle filiali baghdadiste. È possibile, al di là della formalità della rivendicazione? “In effetti, Iskp (acronimo della filiale del Khorasan, che fondamentalmente è lo Stato islamico in Afghanistan, ndr) potrebbe essere dietro all’attentato in varie forme: potrebbe essere coinvolto in modo strutturato fornendo assistenza finanziaria o di uomini e organizzazione, oppure in modo meno diretto potrebbe aver avuto influenza a livello propagandistico sulla cellula che ha condotto l’azione”, afferma Valle.

La creazione di grandi contenuti mediatici contro la Russia è una delle attività che l’Iskp conduce a livello quasi quotidiano, che sfugge alle cronache mainstream ma che viene monitorata costantemente da chi segue le dinamiche del terrorismo internazionale. Per Valle, ci sono diversi suggerimenti che portano alla pista del coinvolgimento de gruppo del Khorasan: c’è un video – non verificato, ma potrebbe essere autentico – di un attentatore che, mentre viene interrogato appena dopo l’arresto, non parla bene russo, afferma di venire dalla Turchia e di essere di nazionalità tagika; ma c’è anche un altro indicatore: “L’Iskp è la provincia più internazionalizzata dello Stato islamico, e infatti si è parlato di un suo coinvolgimento anche nei due grandi attacchi di inizio 2024, quello riuscito in Iran e quello tentato in Turchia. Ed effettivamente, sia Ankara che Teheran hanno affermato che la cellula che ha agito nei due Paesi è la stessa, con attentatori che si sono mossi tra Afghanistan, Turchia e Tagikistan”.

Mosca sarebbe un altro obiettivo ambito anche se si considera che lo Stato islamico in Afghanistan ha già attaccato la Russia nel 2022, bombardando l’ambasciata di Kabul. Se si uniscono questi elementi a quell’incessante propaganda prodotta sia in russo sia in inglese e altre lingue centrasiatiche, è chiaro che il mirino sulla Russia è puntato. “L’obiettivo – continua l’esperto – è di galvanizzare potenziali supporter locali affinché conducano da soli certi tipi di attacchi, ma anche creare collegamenti tra le varie cellule che si formano in Turchia, Iran, Asia centrale, ma anche Occidente”. Lo Stato islamico in passato è stato eccezionalmente bravo a produrre dalla propaganda – coordinata una decina di anni fa dal carismatico capo delle comunicazioni strategiche Mohammed al Adnani – un network strutturato tra singoli fanatici, cellule operative, indottrinatori e narrazione online.

Ma questo significa che il rischio si sta allungando anche in Europa? “Il rischio c’è. Negli ultimi mesi, tra 2023 e inizio 2024, sono state scoperte in Austria, Paesi Bassi, Regno Unito, cellule in cui singoli individui si erano raccolti e molto spesso queste persone di nazionalità centrasiatica, che stavano organizzando la pianificazione di attacchi, convivevano materiale propagandistico dell’Iskp. E in alcuni casi sono state ricostruite comunicazioni dirette tra figure europee e altre in Afghanistan”.

Per Valle, questo non significa che l’Iskp abbia effettivamente capacità di coordinamento totale di queste cellule, ma è la propaganda prodotta e distribuita in diverse lingue, continuamente diffusa e riciclata, che fa pensare che è molto facile mettersi in contatto con la componente centrale afghana. “Da lì, i leader dell’Iskp possono suggerire obiettivi, ispirare azioni, fornire assistenza organizzativa, oppure finanziare veri e propri attacchi come pare sia successo in Iran. Forse nelle prossime settimane ne sapremo di più, anche se la Russia cercherà di deviare molto il discorso sulla collusione fittizia con l’Ucraina”, spiega Valle.


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