Un articolo pubblicato da Foreign Affairs spiega su quali basi poggi il sistema di potere costruito negli anni da Vladimir Putin. Un sistema programmato per durare per sempre, anche dopo l’uscita di scena del suo creatore
Le elezioni che si sono tenute in Russia pochi giorni fa hanno portato alla (scontata) riconferma di Vladimir Putin alla carica di Presidente della Federazione Russa, carica che ricoprirà almeno fino al 2030. Ma ad essere stato riconfermato non è soltanto l’uomo, è anche il sistema di potere che intorno alla sua figura Putin ha costruito negli ultimi vent’anni. Un sistema di potere che a un certo punto, con il venire meno della figura di Putin stesso, dovrà obbligatoriamente attraversare una fase di transizione.
Michael Kimmage, professore di Storia presso la Catholic University of America e Senior Associate presso il Center for Strategic and International Studies, e Maria Lipman, Visiting Research Scholar presso l’Institute of European, Russian, and Eurasian Studies della George Washington University, hanno affrontato la questione in un articolo pubblicato su Foreign Affairs. Dentro al quale viene ricostruita l’evoluzione del “putinismo”: mentre nella sua prima fase questo sistema di potere si fondava sui due pilastri ben distinti della compiacenza guadagnata attraverso i risultati economici ottenuti durante i primi anni di Putin al Cremlino e dell’indifferenza inculcata scoraggiando la partecipazione pubblica alla politica, in seguito all’invasione su larga scala dell’Ucraina il suddetto sistema si evolve nella sua nuova forma del “putinismo di guerra”, ancora più autoritaria.
In questa nuova forma della struttura di potere risultano ancora più marcati due tratti fondanti. Il primo la presenza pervasiva di un vasto apparato di repressione delle opposizioni interne, concrete e potenziali, attraverso l’omicidio e l’incarcerazione di politici, giornalisti, e qualsivoglia tipo di “avversario”. La morte di Alexei Navalny rappresenta l’ultimo epifenomeno di questo tratto del putinismo. Il secondo è il senso di “eternità” di cui si ammanta la figura di Putin stesso, nel tentativo di rendere incapaci i russi di immaginare un futuro senza di lui. Un senso prevalente di “putinismo eterno”, che però nasconde delle vulnerabilità. Un regime che promette di vivere per sempre non può accettare fallimenti, crepe pericolose con il potenziale di minare il mito stesso. Specialmente se i fallimenti sono attribuibili direttamente al leader maximo. Qualsiasi cosa faccia Putin, d’altronde, è ciò che la Russia deve fare. Le sue parole e le sue azioni determinano la natura dell’ideologia, non il contrario.
La guerra in Ucraina ha ulteriormente rafforzato l’immagine di Putin come coraggioso difensore degli interessi nazionali della Russia in contrapposizione all’Occidente “nemico”. Ma, come ricordano gli autori, l’andamento della guerra in Ucraina cambia ogni pochi mesi, e le società in guerra hanno punti di rottura che diventano visibili solo quando vengono raggiunti. E anche l’economia “di guerra” russa rimane soggetta a sconvolgimenti e vulnerabile alle sanzioni occidentali. Viceversa, se l’esercito russo dovesse iniziare a ottenere qualcosa di più vicino alla vittoria in Ucraina, il sistema putiniano diventerà ancora più assertivo dentro e fuori la Russia.
Ma cosa succederebbe in caso di un’uscita di scena di Putin? Probabilmente il putinismo sopravvivrebbe al suo creatore, grazie all’apparato di potere istituito negli anni dentro al Cremlino, nei servizi di sicurezza e nelle forze armate. E una transizione, per quanto movimentata, non andrebbe a intaccare questa struttura, esattamente come avvenuto in epoca sovietica, un modello che il “putinismo eterno” potrebbe replicare. Al momento, Putin non ha nominato alcun successore, e alla sua uscita di scena di Putin potrebbe seguire una lotta per il potere. E i partecipanti a questa lotta avranno molti incentivi a perpetuare il sistema esistente: mantenere la loro presa sui cruciali apparati delle forze armate e dei servizi di sicurezza; evitare che le lotte interne mettano a rischio la posizione geopolitica della Russia; continuare a fare leva sui costrutti ideologici che Putin ha messo insieme. Ciò solleva la possibilità che il “putinismo eterno”, che ora ruota attorno a un solo uomo, possa effettivamente durare più a lungo del suo creatore.