Il ministro della Difesa di Tel Aviv va a Washington a mediare con gli Usa, mentre Netanyahu tiene alti i toni e i colloqui in Qatar sembrano incontrare difficoltà. Nel frattempo proseguono le operazioni militari
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant è in partenza per gli Stati Uniti per la sua prima visita nel Paese dall’inizio del conflitto a Gaza, visita durante la quale sarà impegnato in una serie di colloqui con i rappresentanti di Washington, in mezzo alle crescenti tensioni tra Israele e Usa causate dal protrarsi del conflitto a Gaza. Nel calendario del ministro della Difesa di Tel Aviv sono previsti incontri con il proprio omologo statunitense Lloyd Austin, con il segretario di Stato americano Antony Blinken, con il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e con “altri alti funzionari”, con le parti coinvolte che “discuteranno degli sviluppi della guerra contro l’organizzazione terroristica di Hamas a Gaza, degli sforzi intrapresi per restituire gli ostaggi detenuti da Hamas a Gaza, degli sforzi umanitari e delle misure necessarie per garantire la stabilità regionale”, stando a quanto riporta un comunicato del governo israeliano.
La visita di Gallant ha luogo pochi giorni dopo il rientro di Blinken dal suo ultimo tour nella regione mediorientale, durante il quale ha avvertito che un’offensiva israeliana verso la città meridionale di Rafah, dove sono concentrate ingenti quantità di profughi palestinesi (si stima che la cifra arriva ad un milione e mezzo di persone), sarebbe un “errore che rischia di isolare ulteriormente Israele nel mondo”, a causa dei forti rischi di provocare un altissimo tasso di vittime civili. Fino ad ora, la campagna militare lanciata da Israele come rappresaglia agli attacchi di Hamas del 7 ottobre ha causato la morte di più di trentaduemile persone a Gaza, soprattutto donne e bambini, secondo quanto riferito dal ministero della Sanità palestinese.
Già il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva affermato pochi giorni fa di aver chiesto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di inviare una missione diplomatica a Washington per discutere come evitare un’operazione militare su larga scala a Rafah; tuttavia, pochi giorni dopo l’invito di Biden lo stesso Netanyahu ha dichiarato che Israele è pronto a procedere con l’operazione di Rafah “da solo”, anche senza il sostegno degli Stati Uniti.
Intanto, secondo Al Jazeera i colloqui indiretti in corso in Qatar tra Israele e Hamas sembrano essere in una fase di difficoltà, a causa delle notevoli divergenze su alcune questioni. Hamas avrebbe proposto il rilascio di circa cento prigionieri israeliani in cambio della fine definitiva della guerra, del ritiro totale delle truppe israeliane e del ritorno degli sfollati alle loro case; tuttavia, Israele avrebbe respinto la richiesta di porre fine alla guerra e di ritirare le truppe da Gaza. Inoltre, i negoziatori israeliani avrebbero affermato che solo a duemila palestinesi al giorno sarà permesso di tornare alle loro case, suggerendo che saranno necessari più di due anni perché tutti i profughi possano lasciare Rafah.
Accanto agli sforzi diplomatici, proseguono le operazioni militari. Durante la notte le forze di Tel Aviv hanno attaccato obiettivi di Hezbollah siti in territorio libanese, stando a quanto comunicato dalle stesse Israeli Defence Forces: “Abbiamo obiettivi attaccati di Hezbollah a Baalbek; sono stati rilevati una cinquantina di lanci (di razzi ndr) dal Libano a Israele”. In particolare, le forze aeree israeliane hanno dichiarato di aver attaccato un laboratorio di armi di Hezbollah.