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Sugli asset russi l’Europa è pronta alla spallata. Ma non è ancora fatta

Giovedì sul tavolo del Consiglio europeo ci sarà la proposta che prevede la smobilitazione di 27 miliardi di euro, per ricavarne circa 3 in termini di profitti da girare all’Ucraina. Ma servirà il voto unanime e non tutti sono d’accordo sul destinare i fondi all’acquisto di armi

La data da cerchiare con il rosso sul calendario è il 21 marzo. Quel giorno a Bruxelles si riuniranno i capi di governo per un Consiglio europeo dedicato in gran parte alla causa ucraina. Ed è proprio quella la riunione che potrebbe rappresentare il passo decisivo verso una smobilitazione degli asset russi in Europa e congelati, ma non ancora confiscati. Più o meno 300 miliardi, di cui 190 detenuti presso la finanziaria belga Euroclear, da cui i Paesi europei puntano a incassare una prima fetta di 27 miliardi, sotto forma di profitti generati dagli stessi beni.

Il testo è pronto per finire sul tavolo del Consiglio, tra meno di due giorni. La proposta, su cui servirà, non certo un dettaglio, la convergenza di tutti i 27 Stati, prevede una tassa sui profitti generati dalle riserve immobilizzate, con l’obiettivo di utilizzare una cifra stimata in 3 miliardi di euro (3,3 miliardi di dollari) all’anno per finanziare la fornitura di armi all’Ucraina e potenziare l’industria della difesa del Paese. Ma l’obiettivo resta quello di arrivare a una confisca di 27 miliardi al fine di aumentare i profitti a disposizione.

Un lavoro, quello dell’Europa, portato avanti da Ursula von der Leyen, che va di pari passo con quello del G7, in vista della riunione del prossimo giugno, in Puglia. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha infatti preteso più volte un accordo politico tra i grandi della Terra, affinché fossero confiscati tutti i 300 miliardi sottratti alla Banca centrale russa e non solo una piccola parte. Su questo, però, molti Paesi dell’Unione hanno espresso qualche dubbio, ipotizzando una violazione del diritto internazionale. Per questo la soluzione europea rimane quella di una confisca più morbida.

Alla quale potrebbe giovare la spinta arrivata proprio in queste ore dalla Germania, finora abbastanza ambigua in materia di gestione degli asset russi. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha infatti sciolto la riserva, annunciando che gli interessi maturati sui beni russi congelati verranno utilizzati per acquistare armi per Kiev. “Utilizzeremo i profitti straordinari derivanti dai beni russi congelati in Europa per sostenere finanziariamente l’acquisto di armi per l’Ucraina”, ha detto Scholz in una conferenza stampa congiunta con il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro polacco Donald Tusk a Berlino.

Attenzione però, perché possibili spaccature potrebbero per esempio aversi anche sul fronte della destinazione dei fondi. Alcuni Stati, per esempio, sono contrari a utilizzare le risorse per finanziare le forze armate ucraine, preferendo che il denaro venga speso per la ricostruzione e gli sforzi umanitari. L’Irlanda, tanto per citare un caso, è vincolata alla neutralità attraverso una politica estera di lunga data, ma contribuisce con fondi all’Ucraina a condizione che il denaro venga speso per scopi non letali come lo sminamento. La Commissione europea non offrirà opzioni in questo momento in relazione all’utilizzo del denaro. Il che vuol dire che i governi possono concordare in linea di principio di utilizzare le entrate dai profitti, ma poi discutere ulteriormente su dove quei soldi possono fungere da finanziamento.


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