Guerra, sangue ed elezioni. Farsa al cospetto del mondo nella Russia di Putin. Ma nonostante i controlli asfissianti e a mano armata, ai seggi non sono mancate esplosioni, attentati, incendi e proteste. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Russia in piena sindrome da elezioni imperfette. Come i delitti che lasciano tracce evidenti degli assassini. La realtà viene stravolta e la verità distorta. Impossibile avere un’idea di quanto sta accadendo. Eppure, nonostante la gigantesca e capillare mobilitazione di polizia e servizi di sicurezza e l’asfissiante censura, sui social sono filtrate le immagini e le notizie di una bottiglia molotov lanciata contro un seggio a San Pietroburgo, della protesta di un’elettrice che ha versato un liquido verde nell’urna di un seggio a Mosca, delle bombe lanciate contro due seggi nella regione di Kherson occupata dai russi, delle cabine elettorali incendiate e dei commenti sull’ennesimo misterioso suicidio del vicepresidente della compagnia petrolifere Lukoil, il cinquantatreenne Vitaly Robertus, trovato impiccato. Un suicidio che si aggiunge a quello di altre decine di alti dirigenti del settore petrolifero e della Gazprom enigmaticamente trovati senza vita dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
Sangue e tensioni hanno infatti caratterizzato fin dall’inizio la messinscena delle votazioni organizzata nei minimi particolari per legittimare la quinta rielezione che sarà immancabilmente plebiscitaria di Vladimir Putin. Si scommette sull’87% di voti espressi dall’80% dei votanti.
Secondo le fonti ufficiali l’affluenza alle urne avrebbe già superato il 38%, la media del plebiscito. Un dato che anticipa gli incontrollabili exit poll della propaganda del Cremlino che domenica notte appena chiusi i seggi annunceranno proiezioni che delineeranno la valanga di consensi per Putin. Un trionfo annunciato che sarà seguito dal primo commosso commento del rieletto Presidente e dai festeggiamenti ostentati per le vie di Mosca dai fedelissimi, affiancati da alcune migliaia di comparse contrattualizzate da mesi.
Lunedi inizierà lo spoglio ufficiale che dopo qualche giorno confermerà il plebiscito per Putin e assegnerà le restanti percentuali agli altri tre candidati alle presidenziali: Leonid Slutsky del partito nazionalista Liberal-democratico, Vladislav Davankov del Nuovo partito popolare e Nikolai Kharitonov del Partito comunista. Quest’ultimo, parlamentare settantatreenne, è candidato per la seconda volta alle presidenziali. Nel 2004 era arrivato secondo dopo Putin col 13,69 per cento dei voti. Nessuno saprà mai con esattezza però quanti cittadini nelle migliaia di città e centri della Russia profonda si recheranno veramente a votare e soprattutto per chi effettivamente esprimeranno i loro consensi.
Davanti ai seggi la tensione è quantificata dalle continue chiamate degli agenti di guardia da parte delle centrali di controllo. Voci concitate che chiedono di fare rapporto e che riecheggiano dagli apparati radio a tracolla degli addetti alla sicurezza armati fino ai denti.
Viene monitorata soprattutto l’affluenza e questo conferma che l’intelligence cibernetica ucraina ha in tutto o in parte violato il sistema di controllo del voto elettronico russo. Eventualità ampiamente prevista da Mosca che ha predisposto risultati virtuali paralleli, che saranno spacciati per autentici dal Roskomnadzor, l’Agenzia federale russa per la supervisione delle telecomunicazioni. Agenzia che ha già affermato che la maggior parte dei cyberattacchi di Kyiv sono stati respinti.
Alla guerra dei dati, lungo la linea del confine russo ucraino si sovrappongono i raid delle milizie della Legione della libertà della Russia, il Corpo dei volontari russi e del Battaglione siberiano, che affermano di essere russi anti Putin che cercano di liberare la loro patria dal regime post-sovietico istaurato dal presidente russo.
Sull’andamento della fallita invasione dell’Ucraina ha recentemente fatto il punto, durante l’audizione pubblica al Congresso degli Stati Uniti, William Burns, direttore della Central Intelligence Agency, che a differenza dell’intelligence moscovita è costituzionalmente vincolato a dire la verità. Burns ha affermato di essere appena tornato dalla sua decima visita in Ucraina dall’inizio dell’invasione e ha sostenuto che si è giunti a “un bivio molto importante”. Da una parte, ha spiegato con “l’assistenza supplementare approvata dal Congresso, c’è la possibilità molto concreta di consolidare un successo strategico per l’Ucraina e una perdita strategica per la Russia”. L’intelligence americana ritiene infatti che “con un’assistenza supplementare l’Ucraina possa resistere in prima linea fino 2025 e che possa continuare a infliggere gravi perdite alla Russia, non solo con attacchi di penetrazione profonda in Crimea, ma anche contro la flotta russa del Mare Nero, continuando il successo che ha portato all’affondamento di 15 navi russe negli ultimi 6 mesi”. Il direttore della Cia ha aggiunto che con gli aiuti occidentali l’Ucraina può “riguadagnare l’iniziativa offensiva e anche mettersi in posizione di maggiore forza”.
Analisi seguita dall’impegno del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del presidente francese Emmanuel Macron di inviare missili a lungo raggio e proiettili d’artiglieria a Kyiv. “Nessuna escalation”, ha precisato Parigi ridimensionando le precedenti affermazioni sull’invio di soldati francesi a combattere per l’Ucraina. Forse l’Eliseo si riferiva alla legione straniera, hanno ironizzato a Washington.
Se il voto russo fosse davvero segreto e non espresso in seggi inquadrati da telecamere e con urne trasparenti, sarebbe interessante valutare le preferenze dei soldati mandati a combattere contro gli ucraini. È quello che sostiene il comitato delle madri, delle mogli e delle figlie delle mobilitate tenute a debita distanza dai seggi, ma che continua il pellegrinaggio e la deposizione di rose rosse ai monumenti dei caduti.
A meno di colpi di scena, dalla settimana prossima completata la kermesse del bravo Presidente rieletto, i media moscoviti torneranno a occuparsi dei presunti successi dell’armata russa in Ucraina.
Notizie che non riporteranno il numero e soprattutto non mostreranno mai immagini dei soldati uccisi. Perché nella Russia di Putin il vero confine, che non è più quello classico fra democrazia e regime, ma fra dittatura sanguinaria e tirannia capace di scatenare una guerra nucleare, passa lungo le trincee ucraina dove sono già morti circa 300.000 soldati russi.