Formiche.net ha avuto l’opportunità di confrontarsi con un alto ufficiale delle Idf. Secondo il militare, l’offensiva sul centro abitato permetterebbe di distruggere la capacità militare di Hamas, e di inficiare il sistema regionale iraniano
“Per parlare di Gaza si deve parlare di Iran”. Il tono dell’ufficiale delle Israeli Defence Forces, che ha acconsentito in anonimato a confrontarsi con Formiche.net, è perentorio. L’intento è quello di stressare ancora di più di quanto fatto sinora i legami esistenti tra Teheran ed Hamas, ma non solo. Perché il sistema messo in piedi dall’Iran, così come la dottrina su cui esso si fonda, è un sistema regionale, e gli sviluppi del conflitto formalmente iniziato con gli attentati del 7 ottobre ne sono una prova evidente. La rete di milizie e gruppi paramilitari vicine al Paese persiano (che non si limita soltanto ad Hamas e agli Hezbollah libanesi, o agli Houthi Yemeniti e alle milizie sciite che operano nel Syraq, ma che si estende fino al Sudan, all’Algeria, e al Marocco) basano la loro azione sulle capacità strategiche che Teheran garantisce loro, capacità strategiche senza le quali non potrebbero agire sul piano militare.
Il caso degli Houthi è esemplare. Lo stesso ufficiale israeliano ammette che, data la distanza dallo Yemen al territorio di Israele, le Idf hanno prestato una minore attenzione nei confronti di Ansar Allah (il nome ufficiale del movimento sciita yemenita) rispetto ad altri gruppi affini locati in territori più prossimi ai confini israeliani. Eppure, oggi vediamo come il blocco imposto sul Mar Rosso li renda uno degli attori più rilevanti all’interno del conflitto tra Israele e Hamas. Andando a pesare anche su importanti Paesi partner di Israele, come l’Egitto: dall’inizio della crisi nello stretto di Bab el-Mandeb le entrate del canale di Suez sono crollate, impattando sulla già difficile situazione di food security egiziana. E così come hanno interrotto la libertà di navigazione sui mari, potrebbero decidere di interrompere anche la libertà di volo nei cieli.
Per realizzare tutto questo, gli Houthi hanno impiegato materiale militare di cui normali “milizie” non possono certo disporre. Stesso discorso vale per Hamas, che ha potuto accumulare quattordicimila razzi. Fornendo le capacità belliche a questi gruppi paramilitari, l’Iran può non impegnarsi direttamente godere di un certo grado di plausible deniability rispetto alle operazioni di questo sistema. Ma, come rimarca l’ufficiale delle Idf, “l’Iran non è il background del contesto, è il suo punto focale”.
Non a caso, il 7 ottobre per Israele non si è aperto solo il fronte meridionale. Il movimento Hezbollah guidato da Hassan Nasrallah ha dispiegato circa mille e settecento soldati della Radwan (l’unità speciale dell’organizzazione) lungo il confine per sostenere lo sforzo bellico. Il governo di Tel Aviv ha deciso di mantenere una postura difensiva nell’area (eliminando circa duecentocinquanta avversari, compresi alcune figure di alto rango) così da poter concentrare le risorse nell’offensiva a sud, che continua a rimanere la priorità.
L’ufficiale non ha dubbi: le Idf entreranno a Rafah. Nell’area è dislocata l’ultima delle cinque brigate di Hamas, composta da quattro battaglioni, che le forze di difesa israeliane intendono neutralizzare. Per portare avanti l’operazione militare però sarà prima necessario spostare le persone presenti sul posto, che rischierebbero di rimanere coinvolte nei combattimenti. L’offensiva sembra inevitabile. “Se non attacchiamo Rafah, avremo altri 7 ottobre”, asserisce il militare israeliano, che sottolinea come la vicinanza alla frontiera con l’Egitto la renda un bersaglio particolarmente sensibile. “Se Hamas ha costruito tunnel verso nord, perché non potrebbe averlo fatto anche verso sud?”. Alla domanda su eventuali alternative, l’ufficiale è lapidario: “Se si arrendono, avranno in cambio l’esilio. E se demilitarizzano la Striscia, potranno iniziare i lavori di costruzione. Ma fino ad allora sarà guerra”.