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Si riapre il dossier sindrome dell’Avana. Dove portano gli indizi

Domenica il programma “60 Minutes” di CBS News farà un passo in più verso il Cremlino, con alcuni funzionari che hanno parlato del coinvolgimento di un’arma. Ma il condizionale rimane d’obbligo

È da 60 anni quasi che gli scienziati americani indagano sugli effetti delle microonde sovietiche sui diplomatici statunitense a Mosca. Le amministrazioni sono ancora riluttanti a puntare il dito contro la Russia per la cosiddetta “Sindrome dell’Avana”. La puntata di domenica di “60 Minutes”, su CBS News, farà un passo in più verso il Cremlino, con funzionari che hanno parlato del coinvolgimento di un’arma.

“Per la prima volta, alcune fonti dicono a ’60 Minutes’ di avere le prove del possibile coinvolgimento di un Paese ostile agli Stati Uniti in attacchi a funzionari governativi americani e in una condizione nota come Sindrome dell’Avana”, si legge in un post su X dell’emittente che per il progetto ha collaborato con il giornale tedesco Der Spiegel e di The Insider, testata specializzata su questioni russe.

Il giornalista Scott Pelley ha dato un’anticipazione: “Un inseguimento in auto in Florida potrebbe aver fornito l’indizio fondamentale” per l’indagine. “Per la prima volta, abbiamo le prove di chi potrebbe essere il responsabile”, ha detto, senza farne il nome. Si tratta di un passo in più rispetto alle conclusioni pubbliche delle agenzie governative, compresa la Cia, che hanno sempre escluso una mano straniera. La maggior parte dei circa 1.000 americani all’estero che hanno riferito di essere stati colpiti da qualcosa che sembrava trapassare il loro cervello erano affetti da altre cause, tra cui l’isteria di massa in luoghi caotici come L’Avana, è la versione sostenuta dalle agenzie.

Manca, a oggi, la pistola fumante. Non perché manchino gli esperimenti sospetti da parte di Mosca da decenni, e non soltanto dopo che la faccenda è riemersa, nel 2016. Ma se è responsabile la Russia, è probabile che abbia ingaggiato dei proxy per portare a termine gli attacchi per assicurarsi un alto grado di quella che viene definita “plausible deniability”, che si può tradurre con negazione plausibile. Le prove in mano a Washington devono essere a prova di bomba prima di accusare pubblicamente il Cremlino.

Marc Polymeropolous, ex operativo della Cia e una delle prime e più importanti vittime di questa condizione, è tiepido in attesa del servizio. “Questo sembra nuovo e degno di nota”, ha scritto su X dopo che l’avvocato Mark Zaid ha pubblicato l’annuncio di “60 Minutes” che promette “nuove informazioni sull’indagine globale del Pentagono su questi misteriosi incidenti”, tra cui “prove che un avversario degli Stati Uniti potrebbe essere coinvolto”. Potrebbe. La parola fine non verrà ancora messa.


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