Un’Europa federale – e quindi dotata di un potere effettivo sulla scena mondiale – è ciò che serve all’Italia di oggi e di domani. Ma è fondamentale che la politica si apra al mondo e cambi le proprie abitudini per meritarsi la fiducia dei cittadini. Scrive Marco Mayer
Su Repubblica, Ilvo Diamanti ha dimostrato, cifre alla mano, che in Sardegna la differenza è stata fatta dalla personalità della candidata alla guida della Regione. La manager e imprenditrice Alessandra Todde è piaciuta agli elettori molto più della somma dei partiti che l’hanno sostenuta. Per riappassionare i milioni di cittadini che non votano (o che votano malvolentieri), la scelta di persone specchiate, empatiche e capaci di cui gli elettori abbiano fiducia è (oggi molto più di ieri) un prerequisito del successo per qualunque raggruppamento politico.
Più cresce la volatilità dei comportamenti elettorali, più la fiducia nelle candidate e nei candidati diventa fattore di successo.
Questo aspetto è ancora più determinante per la vasta area liberal-democratica, radicale, cattolico-ambientalista, socialista, repubblicana ed europeista che auspicabilmente dovrebbe dar vita alla nuova lista “Stati Uniti d’Europa”, una idea visionaria lanciata mesi fa da Emma Bonino.
Ma oggi è terribilmente difficile convincere persone a impegnarsi nella sfera pubblica, persino per un consiglio di quartiere. Il clientelismo dei cerchi magici nei partiti, l’inefficienza della macchina pubblica, il giustizialismo (a volte inconsapevole) di settori della magistratura tendono a scoraggiare le persone a dedicare una parte del loro tempo alla gestione della cosa pubblica e all’attività politica come passione civile.
Invece di coltivare l’identità del proprio partito – o peggio litigare come i capponi di Renzo nei Promessi Sposi – servirebbe un periodo di riflessione. A Carlo Calenda e a Matteo Renzi in primis, ma anche a Matteo Richetti, a Andrea Marcucci, a Sandro Gozi, a Piercamillo Falasca, a Federico Pizzarotti, solo per citare qualche nome.
Le elezioni europee avranno un’importanza storica e nessuno può permettersi di sentirsi al centro del mondo.
Questa volta è davvero irresponsabile disfare la tela di Penelope. In tempi di quaresima qualche giorno di digiuno da X non può che far bene.
La mia speranza è che la grinta diplomatica di Emma Bonino, Maria Elena Boschi, Mara Carfagna (e di altre leader) possa permettere di ricucire gli strappi e portare in fondo l’ambiziosa scommessa politica della lista per gli Stati Uniti d’Europa. Altrimenti il rischio è che una intera area politica resti fuori dal parlamento europeo a vantaggio della destra e con gravissime conseguenze per le scelte cruciali che l’Unione europea dovrà affrontare nella prossima legislatura.
La posta in gioco è estremamente alta non solo per le politiche di contrasto al cambiamento climatico, ma anche per la tutela dei diritti sociali e delle libertà civili e, last but not least, per le sfide geopolitiche globali per cui l’Unione non è ancora attrezzata. Ma proprio per il successo di questa nuova ed entusiasmante prospettiva politica, i partiti non dovrebbero chiudersi nei loro piccoli recinti, ma girare l’Italia in cerca delle persone migliori.
Un’Europa federale – e quindi dotata di un potere effettivo sulla scena mondiale – è ciò che serve all’Italia di oggi e di domani. Nel suo libro più recente, Vittorio Parsi (a cui va il mio affettuoso saluto) ha scritto che “la nostra Madre Patria, italiana ed europea, ha bisogno di cittadini e cittadine attivi, capaci di dare concretezza al loro amore per la Patria”. Ha ragione. Ma questo può avvenire a una condizione: la politica deve aprirsi al mondo e cambiare radicalmente le proprie abitudini per meritarsi la fiducia dei cittadini.