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La concretezza Ue sull’Ucraina apre alla difesa comune. Intervista a Minuto Rizzo

Conversazione con l’ambasciatore e presidente della Nato Defense College Foundation: “Trovo molto positivo il fatto che finalmente si parli di investimenti nella politica di difesa europea e che la Commissione faccia delle proposte. Anche se l’ammontare al momento è limitato, è però foriero di una maggiore consapevolezza in Europa dell’importanza di munirsi di una politica di difesa”

Con i passi in avanti verso la difesa comune europea l’Ue si affaccia davvero su una nuova prospettiva, dopo l’iniziativa targata Solana del 2002. In quella circostanza l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, oggi presidente della Nato Defense College Foundation, era presente ai lavori e con Formiche.net affronta i temi all’ordine del giorno del Consiglio Europeo, ovvero la difesa comune e il sostegno all’Ucraina.

La prima ministra lettone Selina arrivando al Consiglio europeo ha chiesto all’Ue che mostri concretezza nei confronti di Kyiv. Fino ad oggi non c’è stata?

L’Ue ha dimostrato fino ad oggi moltissima concretezza, forse la prima ministra lettone, come dire, la butta sull’enfatico. Addirittura l’Unione europea ha chiesto all’Ucraina se è d’accordo e l’ha inserita tra i candidati a diventare Paese membro: basterebbe questo, contro ogni previsione e contro anche ogni logica formale. È un atto molto coraggioso e molto forte quello che ha fatto l’Europa.

Circa l’uso degli extraprofitti da beni russi per finanziare gli aiuti all’Ucraina quale la sua opinione?

Se ne parla molto in questi giorni: il tema lo conosciamo, è molto importante sia dal punto di vista sostanziale ma anche dal punto di vista di vista giuridico. Un conto è sequestrare quei beni per congelarli, un altro cercare di razionalizzarli. Esiste una giurisprudenza internazionale consolidata secondo la quale non si potrebbe fare. Ma forse si è trovato un éscamotage che viene presentato oggi a Bruxelles, ovvero se il bene sequestrato produce dei profitti quei profitti possono essere usati. In francese una volta si diceva À la guerre comme à la guerre. Questa vicenda forse è un po’ avventurosa, o speculativa, ma forse è l’unica cosa che si può fare dal momento che americani ed europei hanno i problemi che conosciamo.

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha affermato che la questione dell’adesione dell’Ucraina all’alleanza non è una questione di possibilità, ma di tempo. Che ne pensa?

Bisogna fare un po’ di attenzione perché questo è tema delicatissimo e anche uno dei temi in cui c’è molta confusione. Stoltenberg è segretario generale dell’Alleanza atlantica in scadenza il prossimo 30 settembre e non può dire che anche l’Ucraina entrerà nella Nato, perché non è lui che decide ma occorre il consenso di 32 Paesi membri. Secondo me questo consenso oggi non c’è. Molti ignorano un passaggio: la Nato non è un’entità esterna che decide chissà cosa, ma la Nato siamo noi. L’Italia è un Paese fondatore della Nato. Se non c’è il consenso di tutti non si può fare. Punto. Questa è la regola.

L’ammiraglio olandese Rob Bauer, presidente del Comitato militare della Nato, ha visitato oggi Kyiv: è la prima volta dall’inizio dell’invasione russa. Quale peso specifico ha questa notizia?

Sul piano simbolico c’è un passo avanti, nel senso che il presidente del Comitato militare della Nato è il presidente del Comitato militare della Nato e non lo possiamo travestire in un’altra maniera: si tratta certamente di un segnale ma fermiamoci lì, non vuol dire più di questo. Circa le polemiche sulle frasi di Macron osservo che sono state un messaggio politico importante: è come dire ai russi “guardate che se farete qualcosa in più reagiremo”. Va letto così il messaggio e non come una decisione di intervento. Tra l’altro, tornando un attimo sulle dichiarazioni di Macron, credo che oltre alle sue parole ci sia anche una forte componente di politica interna. Probabilmente il messaggio di Macron era rivolto alla parte filorussa della Francia.

Circa le spese per la difesa europea, il Consiglio Ue pare aver imboccato una strada ben precisa: sarà questa la volta buona?

Io non sono un esperto ordinario del settore, ma sono il fondatore del Comitato per la politica e la sicurezza: quindi la politica di difesa europea l’ho vista nascere, anche in qualità primo ambasciatore al Cops. Trovo molto positivo il fatto che finalmente si parli di investimenti nella politica di difesa europea e che la Commissione faccia delle proposte.

Anche se l’ammontare al momento è limitato, è però foriero di una maggiore consapevolezza in Europa dell’importanza di munirsi di una politica di difesa. Non dimentichiamo che lo stanziamento è un input a cui va fatto seguire un output: ovvero come trasferire tutto ciò in incapacità maggiori delle forze armate europee. Nel 2002 quando abbiamo fondato con Solana il Comitato per la politica e la sicurezza, c’era una forte ambizione di difesa europea, nel senso che l’obiettivo di allora era la creazione di un corpo d’armata di 60.000 uomini, in grado di essere dislocati a 5000 chilometri di distanza per tre mesi con un preavviso di una settimana. Poi non si è realizzato.

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