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Una famiglia attende giustizia. L’opinione di Pedrizzi

Un ragazzo autistico ricoverato in una struttura del comasco avrebbe subito danni e lesioni nel corso della sua degenza. La famiglia si è rivolta alla magistratura e, dopo la fase di indagini, il pm ha chiesto l’archiviazione del caso a cui la famiglia si è opposta. A fine marzo ci sarà l’udienza decisiva. Intanto, è arrivato un accorato appello a vari esponenti del governo. L’opinione di Riccardo Pedrizzi

Sono stato dal 1994, per alcune legislature, responsabile nazionale del dipartimento “Politiche per la famiglia”, ho nel mio nucleo familiare un componente con grande disabilità, che però è la gioia dei genitori e dei fratelli, da parlamentare mi sono sempre occupato delle persone bisognose e in difficoltà della nostra società. Da qualche anno sto seguendo la vicenda che ora racconto.

Si tratta di un caso controverso, sul quale, a fine marzo arriverà la valutazione che archivierà definitivamente le accuse o consentirà di andare a processo e di analizzare le indagini delle forze dell’ordine sui presunti maltrattamenti al piccolo Alessandro (il nome è di fantasia), bambino autistico ospitato da un centro di riabilitazione della provincia di Como.

Per il pubblico ministero, sulla base delle indagini svolte dai carabinieri, nessuna lesione è stata causata per colpa o per omissione di vigilanza da parte dei sanitari e degli operatori della struttura, che ospita bambini e ragazzi disabili, a Tavernerio, dove Alessandro era stato ricoverato dal 2019 per questioni legate allo sindrome di cui è portatore.

Da qui la richiesta di archiviazione, da parte del Pm, della denuncia presentata dalla famiglia, che si era rivolta alla magistratura, producendo una serie di documenti e di fotografie dalle quali risulterebbe il trattamento quanto meno colposo della struttura ospitante e riferendo, altresì, che anche altri genitori avrebbero lamentato episodi analoghi accaduti nei confronti dei loro rispettivi figli (cfr. i documenti che citano nomi e cognomi).

La procura ha chiesto l’archiviazione

I genitori hanno presentato opposizione alla richiesta di archiviazione, seguita alla denuncia da loro presentata. Il gip ha fissato l’udienza nella quale valuterà se chiudere o meno il caso, per il prossimo 27 marzo.

Dovrà valutare se quei lividi riscontrati anche in ospedale sul corpo di Alessandro, figlio di un artigiano, siano da attribuire a maltrattamenti subiti all’interno della struttura sanitaria, a causa degli omessi controlli da parte dei sanitari, o solo frutto di azioni violente di un ragazzino pakistano, su cui si pronuncerà il Tribunale dei Minori, ovvero derivanti da liti con altri pazienti a loro volta affetti da disabilità, come sostenuto dal pubblico ministero.

Sta di fatto che la famiglia, dopo l’affidamento del figlio al centro di riabilitazione del comasco, aveva ripetutamente chiesto – via mail – di poter verificare le condizioni di degenza di Alessandro, ma la sopravvenuta pandemia da Covid e le stringenti norme sul “distanziamento” avevano indotto i responsabili dell’istituto a non concedere, inizialmente, l’autorizzazione ai genitori.

Successivamente, nel corso delle giornate trascorse dal bambino a casa ad ogni fine settimana, prima del rientro in istituto, i genitori avevano rilevato tracce di ecchimosi e di morsi sul corpo, (tutte documentate dalle foto che avrebbero indotto qualsiasi altro genitore che non fosse animato da spirito civico e da senso delle istituzioni a farsi giustizia da sé), chiedendone conto ai responsabili della casa di cura. Istanze su cui i legali dei genitori incentrano una parte dell’opposizione all’archiviazione.

“Tali fatti sono poi culminati nel grave episodio della lesione al braccio del minore verificatasi in data 10.11.2021, che costituisce quindi soltanto l’apice della situazione pregiudizievole palesatasi in seguito al manifestarsi di numerosi episodi pregressi che hanno destato l’attenzione e provocato le rimostranze dei genitori di Alessandro sin dal mese di settembre del 2020, ben più di un anno prima”.

Tale episodio tanto grave da aver causato conseguenze permanenti all’utilizzo del braccio fratturato avrebbe dovuto, anche a detta dei carabinieri, che hanno indagato per conto della procura della Repubblica, indurre i medici dell’ospedale di Erba quantomeno a notificare alle autorità di pubblica sicurezza il verificarsi dell’evento. (Il bambino venne portato dagli operatori dell’istituto in ospedale che lo dimette non rilevando alcun trauma, il giorno successivo a causa dei forti dolori è nuovamente ricoverato dietro insistenza dei genitori e gli si riscontra la frattura del braccio).

Da parte dello studio viene altresì contestata anche la teoria della procura secondo cui le lesioni sarebbero “riconducibili perlopiù a liti avvenute tra Alessandro e altri ospiti della struttura, anch’essi affetti da gravi disabilità intellettive e motorie. Lividi; morsi, frattura scomposta, che – pur cagionati da ospiti minorenni e con disabilità – secondo gli avvocati della famiglia, “di certo non dovrebbero verificarsi con tale costanza e gravità in un contesto che si suppone di stretta sorveglianza da parte degli operatori sanitari presenti in struttura”.

Ma la tesi del centro di riabilitazione, al momento accolta dal pm, è al contrario che nulla vada addebitato alla struttura, quanto piuttosto ad un ragazzo pakistano, sul quale si tenta di far ricadere ogni responsabilità.

Lo stralcio della posizione del ragazzino pakistano, che sarebbe dunque autore di alcune lesioni aggravate, secondo gli avvocati non fanno decadere “l’ipotesi accusatoria anche nel presente procedimento nei confronti dei responsabili della struttura”.

Il 27 marzo dunque si saprà se il gip intende far proseguire le indagini o se il caso, per quanto riguarda le accuse al centro di riabilitazione, potrà considerarsi chiuso con il totale proscioglimento dei sanitari e dei vertici della struttura, ovvero disporrà la prosecuzione delle indagini.

Ora qualsiasi possa essere l’esito giudiziario di questa vicenda, resta da chiedersi se tutte le strutture del genere, di cui ci stiamo occupando, operino secondo le norme e se non sia opportuno che le autorità competenti prendano in esame e verifichino le condizioni in cui versano ed operano istituti come quello in provincia di Como, anche in regime di accreditamento con il sistema sanitario.

Per tutti questi motivi chi scrive ha ritenuto di dover richiamare l’attenzione su questa vicenda del ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Maria Roccella, di quello della disabilità, Alessandra Locatelli, di quello della Giustizia, Carlo Nordio e dell’assessorato del Welfare della Regione Lombardia, nella persona di Guido Bertolaso, anche al fine di dare tranquillità a tutte quelle famiglie che sono costrette ad avvalersi di tali istituti.



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