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Contatti Usa-Iran per fermare gli Houthi. Cosa c’è dietro

Gli Stati Uniti hanno cercato attraverso la shuttle diplomacy con l’Iran di dissuadere gli Houthi. Le rotte commerciali del Mar Rosso sono in testa alle priorità anche a Washington, ma per ora gli yemeniti non si fermano

Il Financial Times ha un’informazione interessante: gli Stati Uniti avrebbero cercato di parlare con l’Iran affinché facesse leva sugli Houthi per fermare la campagna militare avviata dal gruppo yemenita nel Mar Rosso.

E questo conferma due elementi: primo, la sicurezza collettiva lungo le rotte indo-mediterranee che collegano Europa e Asia è un interesse globale che porta Washington a cercare il dialogo con Teheran, un Pese nemico; secondo, dimostra che gli Houthi mantengono un livello di autonomia nelle proprie azioni, ma possono essere comunque in qualche modo dipendenti dagli iraniani.

La conversazione Usa-Iran sarebbe stata condotta secondo i canali diplomatici indiretti gestiti dall’Oman, coinvolgendo il consigliere per il Medio Oriente della Casa Bianca, Brett McGurk, e l’inviato per l’Iran, Abram Paley, con il vice ministro degli Esteri Ali Bagheri Kani (che è anche il principale negoziatore nucleare di Teheran) a rappresentare la repubblica islamica.

Che la notizia sulla shuttle diplomacy esca in questo momento può avere anche un senso politico: l’amministrazione Biden potrebbe essere interessata a dimostrare che insieme alle azioni militari (offensive e difensive), con gli Houthi è stato attivato anche un impegno diplomatico. Il racconto del tentativo di persuasione tramite l’Iran è dunque un proxy con gli elettori scettici per il nuovo impegno armato in Medio Oriente (a migliaia di chilometri dai confini geografici statunitensi, ossia da dove molti cittadini americani vorrebbero limitato l’impegno Usa).

Secondo il FT, un primo giro di conversazioni c’è stato a gennaio — in un momento in cui gli Stati Uniti avevano già attivato contro gli Houthi gli assetti militari nella regione — e un altro ci sarebbe dovuto essere a febbraio, però è saltato perché McGurk è stato impegnato nel non proficuo tentativo di raggiungere una tregua a Gaza (tra l’altro, che l’incessante azione militare israeliana crei questo genere di problematiche aiuta a comprendere l’irritazione statunitense nei confronti del governo Netanyahu).

Il Pentagono, l’intelligence e il dipartimento di Stato hanno ripetutamente accusato Teheran di fornire agli Houthi droni, missili e intelligence per condurre gli attacchi. L’Iran nega questo coinvolgimento diretto e sostiene di avere una limitata influenza, più che altro spirituale, sugli yemeniti zaiditi. Il dialogo con l’Iran avrebbe riguardato anche le azioni di altre milizie iraniane nella regione, iper-attive soprattutto dopo l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre. Queste milizie hanno ripetutamente e continuamente attaccato le postazioni statunitensi in Iraq e Siria, fino a che il primo febbraio hanno ucciso tre militari americani: a quel punto Washington ha inviato un ultimatum a Teheran, comunicandogli che lo avrebbe ritenuto responsabile di certi atti. Dal 4 febbraio gli attacchi quasi giornalieri si sono fermati, probabilmente perché i Pasdaran hanno intimato l’alt ai propri contubernali. L’Iran non ritiene affatto utile un conflitto diretto contro gli Usa, e vuole evitare che le intemperie (per altro sovvenzionate da Teheran) di certi gruppi crei grossi problemi.

Non è chiaro se gli Houthi siano indipendenti al punto da non ascoltare certe istanze, oppure se l’Iran non abbia interesse per ora a stoppare gli yemeniti. Fatto sta che gli attacchi continuano. Come dimostra l’affondamento del mercantile Rubymar e la disabilitazione della True Confidence, avvenuto entrambi nelle ultime settimane, nonostante la campagna militare occidentale, ancora non si è riusciti a scoraggiare il movimento Houthi o a decimare il loro arsenale di missili e droni armati.

Gli Houthi hanno beneficiato strategicamente degli attacchi sul Mar Rosso, e per questo potrebbero intensificare le loro richieste anche se la guerra di Gaza finisse, ipotizza il Soufan Center. È possibile: anche perché le azioni offensive degli yemeniti si legano solo in forma retorica all’invasione israeliana, ma sono piuttosto finalizzate a mostrare muscolarmente la loro capacità e forza — fattori da spendere nelle trattative sul futuro dello Yemen, per chiudere una guerra che certamente non li vede come sconfitti.

Le opzioni per dissuadere gli Houthi sembrano dunque molto complesse – quanto urgenti. Un’ipotesi è accogliere alcune loro richieste riguardo al controllo territoriale sullo Yemen (più complicato ancora accettare quelle mediatiche riguardo alla costituzione dello Stato di Palestina), ma questo significherebbe accettare una prova di forza armata – che creerebbe precedenti. Un’altra opzione considerata è un significativo ampliamento dell’azione militare contro il gruppo, sotto forma di qualcosa di simile a quanto fatto contro lo Stato islamico. Ma sarebbe un’escalation riguardo alla quale sarebbe un’incognita la reazione iraniana e delle altre organizzazioni sciite nella regione. Quello che è certo è che gli Houthi non cederanno facilmente sul punto di forza raggiunto, “ma è altrettanto vero che questa situazione non può andare avanti ancora a lungo”, spiega una fonte militare europea.


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