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Lavoro, è più utile un referendum propositivo pro sviluppo. La versione di Bonanni

Lo sciopero e referendum annunciati dalla Cgil e dalla Uil dovrebbero cambiare obiettivi e così rendere più ampio il fronte sindacale confederale. Ma dovranno mirare a cambiare rotta al Paese e puntare alla sua efficienza anziché partecipare a cloroformizzarlo con i bonus e assistenzialismo

Ormai è acclarato, Landini ritenta la carta referendaria per riportare indietro le lancette dell’orologio delle riforme del lavoro. Nel mirino c’è ancora il Jobs Act, dopo 10 anni di persistente opposizione. L’avversione per questa riforma ha come movente sempre la stessa ostilità per qualsiasi riforma del Lavoro. L’obiettivo di mummificare le leggi e contrattazione collettiva muove dall’idea che ogni adeguamento alla realtà fa male ai lavoratori. Accadde di tutto anche contro al Decreto del povero Marco Biagi. Il libro bianco da lui stesso scritto, se lo vide qualificato “libro limaccioso”. Ora il segretario della Cgil ha annunciato la raccolta delle firme per il referendum contro il jobs act che dovrebbe pronunciarsi su 2 quesiti sui licenziamenti, uno sulle causali del contratto a termine, un altro ancora su appalti ed infortuni.

Lo annuncia con tesi assai azzardate che affermano che oltre la metà dei lavoratori sono precari, e che l’anno scorso solo il 20% delle assunzioni sono state a tempo determinato. Ed invece i dati statistici degli istituti più accreditati italiani ed internazionali ci dicono che l’83% dei lavoratori dipendenti italiani risultano a tempo indeterminato. Grosso modo la stessa percentuale francese e tedesca. Ed invece i conteggi della precarietà di coloro che amano la confusione, censiscono solo quelli appena assunti. Si sa, le imprese scelgono il tempo determinato per saggiare le attitudini degli assunti e poi li trasformano a tempo indeterminato. Il dato dell’83% di lavoratori stabili è la somma totale a consuntivo di ogni lavoratore dipendente: di quelli storici e di quelli appena avvenuti. Le cose per i lavoratori non vanno bene, ma per ragioni opposte al racconto degli aspiranti referendari.

Le paghe basse, il mancato riconoscimento nell’impegno lavorativo, la condizione umiliante dei precari, dipende dal continuo depotenziamento della competitività nei mercati a causa del mancato governo dei fattori dello sviluppo ed anche della ostilità ancora presente per il merito. Ed invece al Paese ed ai lavoratori serve usare la leva della produttività e della maggiore redditività ai fini della crescita dei salari. Secondo i nemici della modernità, bisogna tenerle lontane dalle politiche salariali contrattuali e non avere paghe legate alla produttività e con il diritto a partecipare a dividersi il frutto con l’impresa della maggiore redditività.

Lo sciopero e referendum annunciati dalla Cgil e dalla Uil dovrebbero cambiare obiettivi e così rendere più ampio il fronte sindacale confederale. Ma dovranno mirare a cambiare rotta al Paese e puntare alla sua efficienza anziché partecipare a cloroformizzarlo con i bonus e assistenzialismo. Il referendum cambiarlo in propositivo con i seguenti obiettivi: il divieto dell’aumento del debito; la programmazione dell’Università, della scuola e formazione in stretta relazione con le produzioni attraverso le parti sociali; il ripristino della energia nucleare; riduzioni poderose delle tasse insieme a penalizzazioni drastiche della evasione ed elusione fiscale. Sarebbe un grande segnale per ritornare come associazioni dei lavoratori ad essere risolutori di problemi anziché parte del problemi.

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