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Cina-Russia. Perché secondo Gabuev dobbiamo prepararci a un blocco unito

Secondo il direttore del Carnegie Russia Eurasia Center la partnership tra Mosca e Pechino, pur avendo dei limiti, ha raggiunto comunque una profondità dalla quale è difficile tornare indietro. Sulla base del comune interesse anti-occidentale

Lunedì 8 aprile il ministro degli Esteri Russo Sergei Lavrov si è recato a Pechino per incontrarsi con il Segretario del Partito Comunista Cinese Xi Jinping, leader del Paese in questo momento considerato come il più vicino alla Federazione Russa. All’interno della narrazione occidentale viene spesso sottolineato come quella tra Mosca e Pechino sia un’amicizia di comodo basata su interessi comuni di breve periodo, e non una vera e propria “partnership senza limiti” come quella annunciata dallo stesso Xi e da Vladimir Putin nel febbraio del 2022, pochi giorni prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Ma anche all’interno del mondo occidentale ci sono voci dissonanti, che invece ritraggono una realtà diversa: Cina e Russia sono oggi più saldamente allineate che mai dagli anni Cinquanta del secolo scorso.

Una di queste voci è quella di Alexander Gabuev, direttore del Carnegie Russia Eurasia Center di Berlino, che delinea la sua visione della situazione in un articolo pubblicato da Foreign Affairs. Secondo Gabuev l’avvicinamento tra le due potenze è ormai così stretto che il mondo occidentale deve prepararsi a competere con questo blocco unito, anziché sperare di riuscire a scavare un solco tra il Cremlino e Zhongnanhai. Sono numerosi i fattori che hanno spinto Mosca a realizzare il suo “Pivot to Asia” in salsa russa, un pivot che Pechino è stata ben felice di accogliere e facilitare: dalla relativa omogeneità dei sistemi politici autocratici che governano i due Paesi; alla complementarietà economica, con la Russia ricca di risorse naturali e in cerca di tecnologia e denaro, mentre la Cina necessita di risorse naturali e dispone di denaro da spendere e di tecnologia da condividere; alla comunità d’intenti sul piano internazionale, dove entrambe sono intenzionate a contrastare gli Stati Uniti e la sua posizione di egemone, grazie al quale Washington impedisce ai due Paesi di ottenere un ruolo di leadership nell’ordine mondiale.

Naturale quindi che, dopo il raffreddamento delle relazioni con l’Occidente avvenuto nel 2014, Mosca rafforzasse i legami con Pechino, aumentando l’esportazione di materiale militare (un settore dove godeva ancora della superiorità tecnologica) e potenziando le infrastrutture per l’esportazione energetica. Tuttavia fino all’invasione dell’Ucraina, l’Unione Europea è rimasta il primo partner commerciale per la Russia, così come per la Repubblica Popolare i collegamenti con il mondo euroatlantico continuavano ad avere una priorità maggiore rispetto a quelli con il vicino euroasiatico. Ma l’invasione dell’Ucraina ha segnato un cambio di passo. “Nel 2022, il commercio bilaterale è cresciuto del 36%, raggiungendo i 190 miliardi di dollari. Nel 2023 è salito a 240 miliardi di dollari, superando a novembre la soglia dei 200 miliardi, un obiettivo che Xi e Putin intendevano inizialmente raggiungere nel 2025. La Cina ha importato beni energetici per 129 miliardi di dollari – soprattutto petrolio, gasdotti, gas naturale liquefatto e carbone – che rappresentano il 73% delle esportazioni russe in Cina, oltre a metalli, prodotti agricoli e legno. Allo stesso tempo, la Cina ha esportato in Russia beni per un valore di 111 miliardi di dollari, dominati da attrezzature industriali (circa il 23% delle esportazioni), automobili (20%) ed elettronica di consumo (15%)”, riporta Gabuev nel suo articolo.

L’autore nota anche come i controlli occidentali sulle esportazioni e la maggiore attenzione delle capitali occidentali all’applicazione delle sanzioni hanno fatto sì che la Russia non abbia altra scelta a lungo termine se non quella di passare all’importazione di beni industriali e di consumo di produzione cinese. Di conseguenza, le vendite di attrezzature industriali cinesi sono aumentate del 54% nel 2023 rispetto all’anno precedente e le vendite di automobili cinesi sono quasi quadruplicate, rendendo la Russia il più grande mercato estero per le automobili cinesi con motore a combustione. In queste cifre si nascondono articoli di produzione cinese che potenziano direttamente la macchina militare russa.

Ma questa nuova fase non riguarda soltanto l’economia. Parallelamente, le forze armate di Mosca e Pechino hanno condotto esercitazioni militari congiunte svariate esercitazioni militari congiunte, da sole o assieme a quelle di altri Paesi. Gli esponenti dell’establishment dei due Paesi hanno aumentato le visite ufficiali nel territorio del rispettivo partner (anche se sono soprattutto i Russi a recarsi in Cina). E mentre il Levada Center mostra un tasso di gradimento altissimo per la Repubblica Popolare tra gli abitanti della Federazione Russa, sempre più giovani russi imparano il mandarino. Aneddotica, o forse no.

E sebbene il rischio di “sottomissione” (pur sempre parziale) al grande rivale statunitense sia concreto, il Cremlino è disposto a correrlo. Tutto pur di sconfiggere l’Occidente, il vero nemico della Russia, ancora più dell’Ucraina. Putin stesso ha delineato il paragone tra lui e il principe Alexander Nevsky, che nel tredicesimo secolo decise di sottomettersi all’orda mongola pur di combattere l’avanzata dei cattolici occidentali intenzionati a “convertire ed assimilare” le popolazioni del bassopiano sarmatico. “Il governante russo di oggi è pronto a tollerare il vassallaggio a una potenza che non minacci l’identità russa e non interferisca troppo negli affari interni per contrastare l’Occidente, che Putin e i suoi ideologi dipingono come decadente e una minaccia mortale per i valori tradizionali russi” scrive l’autore. Allo stesso tempo, Pechino ha bisogno di Mosca in un’ottica di lungo periodo. Nel suo confronto con Washington, ogni alleato sarà prezioso. Soprattutto se ha da offrire quello che ha da offrire la Federazione. E anche se tra le due potenze non esiste un’alleanza formale per puri motivi di “comodo”, è necessario considerarle come veri e propri alleati.

“Per affrontare questo sviluppo, i responsabili politici occidentali dovrebbero abbandonare l’idea di poter creare un cuneo tra Pechino e Mosca”, afferma Gabueva. Pechino e Mosca hanno dimostrato una notevole capacità di gestire le loro differenze per il bene della loro cooperazione.

E se il tandem Cina-Russia è destinato a permanere, i leader occidentali devono costruire una strategia a lungo termine che contribuisca a mantenere la pace tenendo conto di tutte le ramificazioni derivanti dal dover competere contemporaneamente con Cina e Russia: dal trovare il giusto equilibrio tra deterrenza e rassicurazione con Mosca e Pechino, per evitare pericolose situazioni di escalation che potrebbero derivare da incidenti, percezioni errate e comunicazioni sbagliate, al considerare gli effetti di secondo ordine delle misure economiche coercitive che hanno applicato a Russia e Cina, e come le contromisure ad esse erodano ulteriormente il tessuto della globalizzazione. Se da un lato non dovrebbero tollerare la disinformazione russa e cinese e i tentativi di sovvertire il funzionamento delle istituzioni internazionali, dall’altro i Paesi occidentali dovrebbero cercare di rendere alcune di queste istituzioni, come le Nazioni Unite e le agenzie ad esse collegate, nuovamente funzionali anche con Pechino e Mosca a bordo. Nel considerare come proteggere la sicurezza europea e asiatica, contenere il cambiamento climatico, governare le nuove tecnologie dirompenti come l’intelligenza artificiale e affrontare le sfide dell’architettura finanziaria globale, i responsabili politici occidentali devono ora fare i conti con la realtà di un asse sino-russo sempre più risoluto.

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