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Sui territori no, a Roma sì. Dove funziona l’asse Pd-M5S secondo Ignazi

A livello nazionale ci sono ampi margini di collaborazione, mentre sui territori la sostanziale assenza dei pentastellati genera una condizione nella quale tra Movimento 5 Stelle e Pd si alimentano pesanti conflittualità. Lo schema sardo è difficilmente riproponibile, ma Conte non tornerà mai ad allearsi con Salvini. Il rassemblement centrista di Renzi e Bonino alle europee sarà un flop pericoloso. Colloquio con il politologo Piero Ignazi

Volano gli stracci tra la segretaria del Pd, Elly Schlein, e il leader pentastellato Giuseppe Conte. L’idillio sardo, che ha dato adito a molti di pensare a un consolidamento definitivo del campo largo come ipotesi alternativa alla coalizione di governo, è stato bruscamente interrotto. Sarebbe riduttivo, tuttavia, circoscrivere il perimetro delle tensioni a ciò che sta accadendo in Puglia. Le difficoltà sono più profonde. “Due partiti molto diversi fra loro che cercano di conquistare la leadership del campo progressista”. A dirlo a Formiche.net è il politologo Piero Ignazi, già docente dell’università di Bologna.

Professor Ignazi, verrebbe da chiedersi a chi giova questa contrapposizione.

A nessuno. Le dinamiche elettorali in questo senso sono molto chiare: gli elettori tendono ad abbandonare le aree di conflitto. Questa conflittualità continua non fa bene ai due partiti, tant’è che il governo si frega le mani. Le difficoltà di convivenza sono evidenti ma in qualche modo devono essere superate se si vuole fornire agli elettori un’alternativa competitiva.

C’è, tra Conte e Schlein, chi ha più responsabilità rispetto all’innesco di questi conflitti?

Il leader pentastellato è evidentemente quello che scalpita di più. Anche questo, però, è fisiologico: la sua è una posizione minoritaria nella compagine progressista per cui il suo obiettivo è quello di scavalcare il Pd. Ribaltare i rapporti di forza. D’altra parte però, il Pd tratta sempre con sufficienza il Movimento 5 Stelle: atteggiamento che certamente non favorisce i buoni rapporti tra le due forze.

Lei esclude che lo schema sardo possa essere riproposto altrove?

Dico di più: l’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Partito democratico può funzionare solamente a livello nazionale.

Perché?

Sui territori i pentastellati non esistono più, avendo smantellato il radicamento frutto dell’esperienza dei meet up. Perciò, è evidente che il Pd ha una posizione “dominante” sul piano decentrato. Tant’è che molti dei conflitti cui stiamo assistendo, partono proprio dai territori. E gli accordi non portano a buoni frutti.

Conte, oggi sul Corriere della Sera, smentisce qualsiasi ipotesi di riavvicinamento tra lui e Salvini come invece paventa Calenda. Lei cosa ne pensa?

Questa analisi riflette tutta l’intelligenza politica di Calenda. È da escludere in maniera categorica che Conte possa tornare ad allearsi con il leader del Carroccio. Una lettura di questo tipo scaturisce unicamente dal grande astio che il capo di Azione ha verso l’ex presidente del Consiglio. Anche se dopo la Sardegna sembrava aver fatto un’apertura di credito nei suoi confronti, salvo poi smentirsi dopo la sconfitta abruzzese.

Renzi e Bonino staranno assieme in Europa. Azione balla da sola. Che esito prevede?

Un disastro su tutti i fronti e una pericolosa dispersione di voti. Posso essere smentito dai fatti, ma la mia previsione è che nessuno supererà la soglia del 4% e quei voti liberali – che sarebbero confluiti del gruppo di Macron, dunque verso una formazione fortemente europeista – verranno persi. Creando così un vulnus per una possibile alternativa ai sovranisti.

Conte muove un’accusa pesante a Schlein: non essere intervenuta sui “cacicchi” e sui “capi bastone” all’interno del Pd. È un rilievo fondato?

Beh, insomma, Schlein non si è dedicata tanto al partito nella sua dimensione interna. E questo è il risultato. Poi, chiaramente, ogni partito ha i suoi “cacicchi”. Ma la priorità del Pd dovrebbe essere quella di lasciare più spazio e dare più voce alle strutture locali del partito.

Su cosa devono concentrarsi i due leader progressisti per costruire realmente un’alternativa?

Come al solito sui temi, lasciando perdere gli screzi politici di piccolo cabotaggio e che soprattutto nulla interessano all’opinione pubblica. Lottare per le disuguaglianze di qualsiasi genere, a partire da quelle sanitarie e lavorative – come peraltro hanno già dimostrato di saper fare – potrebbe essere un buon punto di partenza.

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