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Ecco che cosa non torna nella stretta europea sugli investimenti esteri. I dubbi di Assonime

L’associazione delle spa è stata ascoltata alla Camera sul pacchetto di misure voluto da Bruxelles per mettersi al riparo dalle scorribande russe o cinesi a danno dell’industria continentale. Ma il rischio di un mancato incastro con le regole nazionali è alto

L’Europa vuol vederci chiaro sugli investimenti esteri che piombano sul continente, a cominciare da quelli cinesi. Per questo lo scorso gennaio Bruxelles ha approvato il pacchetto di misure che modifica il regolamento comunitario sugli investimenti esteri e sulla vendita di tecnologia europea a Paesi terzi, lavorando nel nome della propria sicurezza, economica e non e rivedendo la propria strategia nei confronti dei mercati extra Ue. Obiettivo, evitare ospiti indesiderati, o meglio, predoni. Un cambio di rotta che per l’Europa implica il modello Stati Uniti, che prima di vendere o acquisire determinate tecnologie vogliono sapere cosa si intende farne.

Inutile dirlo che ogni riferimento puramente casuale è alla Cina. Gli investimenti stranieri diretti su cui l’Europa vuole aumentare la vigilanza riguardano infatti sia il Dragone, sia la Russia, che potrebbe usare tecnologia made in Ue per suoi scopi. Del resto, come ha sottolineato la stessa Commissione in occasione del varo della stretta, “nuovi rischi per la sicurezza economica stanno emergendo a seguito delle crescenti tensioni geopolitiche, della frammentazione geoeconomica e dei profondi cambiamenti tecnologici: dobbiamo controllare l’esportazione di prodotti sensibili per evitare che finiscano nelle mani sbagliate”.

Ecco dunque la proposta di revisione del regolamento sugli investimenti stranieri diretti. La Commissione, attraverso la proposta di regolamento, intende garantire che tutti gli Stati membri dispongano di un meccanismo di controllo accompagnato da un’armonizzazione delle diverse regole nazionali per rendere la cooperazione con gli altri Stati membri e la Commissione più efficace ed efficiente. Non solo. Ogni Stato membro dovrà identificare un ambito settoriale minimo da tenere sotto controllo, con la possibilità per i governi di rimanere liberi nelle proprie scelte per tutto ciò che non rientra nella lista essenziale, a seconda dei propri interessi di sicurezza nazionale.

Eppure, secondo le società per azioni italiane, che poi sono l’anello di congiunzione con i mercati stranieri, bisogna fare dei correttivi. In tal senso Assonime, l’associazione delle spa, è stata ascoltata alla Camera in audizione per bocca del direttore generale, Stefano Firpo. Premesso che “la costruzione di un quadro regolamentare chiaro ed equilibrato, che semplifichi e renda prevedibili le condizioni di investimento nell’Unione europea appare di fondamentale importanza”, sul primo punto, quello del controllo e dell’armonizzazione, “occorre evitare il rischio di una frammentazione normativa che deriverebbe dalla previsione di meccanismi di controllo nazionali che possono differire quanto ad ambito di applicazione (tipo di attività e settori oggetto di screening), procedure e termini (ad esempio, durata della valutazione e della decisione da parte dell’autorità nazionale), criteri applicati per valutare i probabili effetti negativi degli investimenti su sicurezza e ordine pubblico europei”, si legge nel documento di Assonime.

“Si deve però osservare che l’effettiva efficacia di tale armonizzazione è strettamente legata alla concreta attuazione e applicazione, a livello nazionale, dei principi e criteri, necessariamente generali e a volte piuttosto indefiniti, contenuti nella proposta che lasciano ampi spazi di manovra alla discrezionalità amministrativa: sarebbe allora opportuno aumentare il tasso di chiarezza e oggettività dell’ambito di applicazione dello screening in relazione ai settori individuati, eventualmente facendo riferimento a parametri quantitativi (come, ad esempio, soglie di rilevanza degli investimenti) o qualitativi”. Di più.

“Sarebbe anche da valutare l’adozione di linee guida unitarie condivise dai meccanismi nazionali di controllo che, sulla base della casistica, possano orientare gli operatori nell’applicazione della disciplina”. Ma le osservazioni di Assonime, toccano anche il delicato tema del golden power. La proposta del regolamento che amplia il campo d’azione del controllo degli investimenti, insomma dello screening, “è destinata ad avere effetti sulla disciplina italiana sul golden power, e i relativi obblighi di notifica, che si applicano in alcuni casi anche agli investimenti intra-Ue. In particolare, l’estensione dei settori economici e delle aree di attività per le quali si prevede un obbligo di controllo sugli investimenti esteri impatterà sulla disciplina nazionale”.

Non è finita. “Sarà inoltre da valutare se le disposizioni della disciplina italiana in materia di controllo degli investimenti intra-Ue siano coerenti e compatibili con le prescrizioni di armonizzazione, seppur minima, contenute nella proposta di regolamento, che fa comunque espressamente salva la competenza esclusiva di ciascuno Stato membro per la propria sicurezza nazionale e la facoltà di adottare o mantenere in vigore disposizioni nazionali nei settori non coordinati dalla proposta stessa”.

Conclusione: se il rafforzamento del meccanismo di cooperazione per il controllo degli investimenti “risponde (anche) alla condivisibile finalità di meglio coordinare le decisioni degli Stati membri sugli investimenti esteri a vantaggio della prevedibilità e della certezza delle condizioni di investimenti in Europa, si ravvisa il rischio di ottenere il risultato opposto ovvero una sorta di cacofonia di osservazioni e pareri non convergenti fra Stati membri e con la Commissione europea”.

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