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Carota e bastone, la missione di Blinken in Cina secondo l’amb. Castellaneta

I rapporti bilaterali sono caratterizzati da un’alternanza di schermaglie con tentativi di dialogo e distensione. Lo dimostra la visita del segretario di Stato americano a Shanghai e Pechino. L’analisi di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti

Una passeggiata sul Bund di Shanghai, poi una partita di basket del campionato cinese e infine un incontro amichevole con Chen Jining, segretario del Partito comunista della metropoli più moderna del Paese. È iniziata all’insegna di un clima di distensione la visita in Cina del segretario di Stato americano Antony Blinken il quale, accompagnato dall’ambasciatore Nicholas Burns, vecchia conoscenza washingtoniana, ha messo in pratica una strategia improntata all’abile uso di “carota e bastone”. Da esperto diplomatico qual è, affabile nei modi e determinato negli obiettivi, Blinken ha scelto toni distesi prima di aprire i dossier bilaterali più spinosi che sono stati affrontati nella giornata di venerdì, a Pechino, con il ministro degli Esteri Wang Yi e il leader Xi Jinping.

Le relazioni tra Washington e Pechino sono problematiche da diverso tempo, da quando la Cina è diventata l’unica potenza in grado di rappresentare un avversario credibile degli Stati Uniti per la leadership globale sia a livello geopolitico che economico. Tuttavia, se da un lato la tensione tra i due Paesi negli ultimi anni ha continuato a crescere, dall’altro “aquila” e “dragone” sono dipendenti l’una dall’altro per i profondi rapporti commerciali e finanziari che li legano reciprocamente. Ecco perché, sulla base della consapevolezza della potenza di entrambi, i rapporti bilaterali sono caratterizzati da un’alternanza di schermaglie (verbali ma non solo, come evidenziato dalle crescenti misure protezionistiche messe in atto dagli Stati Uniti) con tentativi di dialogo e distensione.

Del resto, in questa fase l’obiettivo primario della Casa Bianca è quello di evitare che si apra un terzo fronte di scontro dopo quelli già in atto in Europa orientale tra Russia e Ucraina e in Medio Oriente tra Israele e Hamas (qui con il rischio di un pericoloso allargamento all’Iran e al resto della regione). E quindi, se da una parte il Congresso americano pochi giorni fa ha approvato una legge che minaccia di mettere al bando TikTok dal territorio americano sulla base di preoccupazioni per la sicurezza nazionale, dall’altra parte Blinken è volato in Cina per ribadire ai suoi interlocutori come le due potenze debbano gestire i propri rapporti “responsabilmente”.  Trovando peraltro eco da parte di Xi, il quale ha sottolineato come occorra evitare che tra Stati Uniti e Cina si innesti una competizione “dannosa” che andrebbe a detrimento di entrambi gli attori.

Tutto risolto, dunque? Magari fosse così facile. I nodi da sciogliere sono molti prima di poter dire che non ci sia il rischio di un’escalation tra Washington e Pechino. A cominciare dalle controversie commerciali: gli Stati Uniti stanno cercando da alcuni anni (anche se, va detto, con scarsi risultati) di ridurre il proprio deficit nei confronti della Cina con l’obiettivo di rimpatriare parte della produzione manifatturiera andata in fumo negli ultimi decenni. Su questo punto è importante sottolineare come ci sia una sostanziale continuità (quantomeno in linea di principio) tra democratici e repubblicani. C’è poi la guerra in Ucraina, con la Casa Bianca che accusa la Cina di fornire sostegno militare alla Russia e che chiede dunque (purtroppo inascoltata) un atteggiamento più fermo contro Mosca che potrebbe portare la guerra ad una conclusione. In realtà, da questa situazione il regime di Xi trae un duplice vantaggio: tenere gli Stati Uniti e l’Occidente occupati (seppure indirettamente) a contrastare Mosca, e al contempo inglobare quest’ultima sotto la propria sfera di influenza in quanto spinta dalle sanzioni a chiedere sostegno economico. Infine – last but not least – c’è la questione Taiwan, vera “linea rossa” che la Cina chiede agli Stati Uniti di non attraversare rivendicando implicitamente pieno controllo su tutto il Mar cinese meridionale. Ma la piccola isola di fronte alla costa cinese è troppo importante a livello economico (leggere alla voce “semiconduttori”) per lasciare che finisca nell’orbita di Pechino.

In questa fase, l’amministrazione americana deve giocare una complicata partita diplomatica. Da una parte, con le elezioni in vista tenere alta la tensione con la Cina può servire come diversivo rispetto ai problemi interni (da ultimo le manifestazioni nelle università pro-Palestina); dall’altra, è fondamentale assicurare che con Pechino si mantenga una “coabitazione pacifica”, nel rispetto dei reciproci interessi e ambizioni ma con uno sguardo agli equilibri globali. La missione di Blinken è dunque finalizzata a consentire agli Stati Uniti di continuare a proseguire lungo un crinale assai stretto e ripido evitando di cadere nel baratro di una guerra vera con conseguenze che sarebbero disastrose non solo per Washington ma per il mondo intero.

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