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Fiducia cercasi. Così gli investitori snobbano le Ipo cinesi

Nei primi quattro mesi dell’anno le quotazioni sulle piazze cinesi hanno raccolto solo 6,4 miliardi in termini di capitale, il valore più basso della recente storia finanziaria del Dragone. Segno che, oltre al governo, anche le aziende ormai diffondono sfiducia. E chi ci guadagna è sempre l’India

La geografia dei mercati globale sta assumendo nuovi contorni, nuovi pesi, nuove dimensioni. E, soprattutto, sta trovando nuovi baricentri. La Cina non piace più agli investitori, che fino a prima della pandemia consideravano il Dragone il porto sicuro in Asia. Ora, come raccontato in più occasioni da Formiche.net, è l’India a tenere in mano lo scettro, dopo aver superato Hong Kong e presto quarto mercato azionario al mondo. Shanghai e Shenzhen, le due principali piazze cinesi, rischiano di restare indietro e mangiare polvere.

Ci sono i numeri a dirlo, quelli di Dealogic, una delle principali banche dati del globo. Secondo la quale l’attività dei mercati sulle Borse cinesi è crollata ai minimi di sempre, almeno da quando la Cina è nata da un punto di vista economico e industriale, evidenziando come la perdita di slancio nella seconda economia più grande del mondo abbia pesato sulla fiducia degli investitori. La differenza c’è, perché non si tratta di un ribasso nell’arco di 5 o 10 anni, ma di almeno due o tre decine.

Le aziende cinesi hanno raccolto nei primi quattro mesi dell’anno solo 6,4 miliardi di dollari nelle Ipo presso le tre piazze cinesi: Shanghai, Shenzen e Pechino. Si tratta del dato più basso di sempre ma, soprattutto, del chiaro sintomo di una pressoché totale assenza di fiducia verso il sistema economico cinese. Quando un’azienda si quota, infatti, deve raccogliere soldi dal mercato, garantendosi l’assenso degli investitori. Ma se l’assenso non arriva, vuol dire che o è sballata la quotazione o è decotta l’azienda che va sui listini. In un verso o nell’altro, non è un buon segnale.

La raccolta fondi nei mercati offshore, cioè fuori dalla terraferma cinese, tra cui Hong Kong, è risultata di 1,6 miliardi di dollari, il valore più basso dal 2003, oltre due decenni fa. “In termini di interesse globale degli investitori in Cina, questo è sicuramente il peggiore anno che abbia mai visto nella mia carriera”, ha dichiarato Wang Qi, chief investment officer di Uob KayHian a Hong Kong, che ha iniziato a lavorare nella finanza negli anni ’90.

Chi ci guadagna, come detto, è l’India. La capitalizzazione complessiva delle Borse indiane, Bombay su tutte, ha raggiunto i 4.330 miliardi di dollari contro i 4.290 miliardi di Hong Kong. Per l’India si tratta di un record assoluto, oltre che la dimostrazione di una continua e inarrestabile crescita. Questo perché gli investitori esteri, che nei mesi della stagnazione cinese si stanno riposizionando, stanno cercando di aumentare la loro esposizione con il Paese degli elefanti.

E lo stanno facendo utilizzando strumenti derivati come gli swap offshore, anche con l’obiettivo di superare le onerose normative sugli investimenti in India. Gli investitori stranieri si sono, tanto per fare un esempio, riversati sui titoli di Stato indiani in vista della loro inclusione nell’indice di Jp Morgan a partire da giugno. E tutto ai danni della Cina.

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