Secondo il professore cinese, invadere l’Ucraina è stata per la Russia una mossa fatale che avrà conseguenze infauste sul lungo periodo. E sottolinea come la posizione cinese sia tutt’altro che schiacciata su quella russa
Nel febbraio del 2022, Mosca ha commesso un azzardo, iniziando una guerra che non può vincere. Nel corso degli ultimi ventisei mesi sono stati numerosi i sostenitori (quasi interamente provenienti dal mondo occidentale) di questa tesi, al sostegno della quale apportavano i fattori più disparati. Tesi sostenuta anche in un articolo pubblicato in data 11 aprile dall’Economist, nel quale però spicca un dettaglio: l’autore è Feng Yujun, professore della Peking University nonché uno dei più noti russologi della Repubblica Popolare. È la prima volta che un esponente delle elite cinesi si espone pubblicamente contro l’invasione russa dell’Ucraina, non soltanto prevedendone l’esito negativo, ma anche accusandola di aver provocato un deterioramento nei rapporti tra Pechino e Mosca, rinnegando la “partnership senza limiti” annunciata da Xi Jinping e da Vladimir Putin poche settimane prima dell’inizio dell’Operazione Militare Speciale.
Secondo Feng, sono quattro i fattori che segneranno l’andamento del conflitto. Il primo è il livello di resistenza e di unità nazionale dimostrato dagli ucraini, che finora è stato straordinario. Il secondo è il sostegno internazionale all’Ucraina che, sebbene di recente sia stato inferiore alle aspettative del Paese, rimane ampio. Il terzo concerne la natura della guerra moderna, risultato di un equilibrio tra potenza industriale e sistemi di comando, controllo, comunicazione e intelligence, rispetto alla quale la Russia si è trovata relativamente impreparata a causa della drammatica deindustrializzazione verificatasi dopo la fine dell’epoca sovietica. Infine, l’ultimo fattore è quello dell’informazione al vertice: come conseguenza della sua lunga permanenza al potere, Putin è intrappolato in un bozzolo di informazioni distorte, che impedisce loro di correggere gli errori, mentre la controparte ucraina è più flessibile ed efficace in questo senso. “La combinazione di questi quattro fattori rende inevitabile la sconfitta finale della Russia. Col tempo sarà costretta a ritirarsi da tutti i territori ucraini occupati, compresa la Crimea. La sua capacità nucleare non è una garanzia di successo. L’America armata di nucleare non si è forse ritirata dalla Corea, dal Vietnam e dall’Afghanistan?” chiosa Feng.
Che individua alcuni epifenomeni della difficoltà politica di Mosca, e sul piano interno e su quello esterno. Il conflitto ha infranto il mito dell’invincibilità militare della Russia, e ha consegnato il regime di Putin a un ampio isolamento internazionale, allontanando dalla sua orbita le repubbliche post-sovietiche, causando un forte raffreddamento nella distensione tra Unione europea e Russia avviatasi dopo la guerra fredda e portando a un revitalizzazione (nonché a un’espansione) dell’Alleanza Atlantica, suo nemico giurato; inoltre, il Cremlino ha anche dovuto affrontare difficili correnti politiche interne, dalla ribellione dei mercenari del Gruppo Wagner e di altri gruppi paramilitari alle tensioni etniche in diverse regioni russe, fino al recente attacco terroristico a Mosca. Ogni tipo di “cigno nero” è adesso possibile in Russia, secondo l’accademico cinese.
Ricordando poi come le relazioni della Cina con la Russia non siano fisse, e siano anzi state influenzate dagli eventi degli ultimi due anni. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che poche ore prima della pubblicazione dell’articolo si è a recato in visita a Pechino, dove insieme al suo omologo cinese ha sottolineato ancora una volta gli stretti legami tra i loro Paesi, appare a Feng più come uno sforzo diplomatico della Russia per dimostrare di non essere sola che un vero e proprio innamoramento. “Gli osservatori più accorti notano che la posizione della Cina nei confronti della Russia è tornata dalla posizione ‘senza limiti’ dell’inizio del 2022, prima della guerra, ai principi tradizionali di ‘non allineamento, non confronto e non bersaglio di terze parti’”.
Feng adduce l’esempio delle sanzioni come esemplificativo del rapporto tra i due Paesi: sebbene la Cina non abbia aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia, allo stesso tempo non le ha sistematicamente ed esplicitamente violate. È se è vero che la Cina ha importato più di 100 milioni di tonnellate di petrolio russo nel 2023, è anche vero che la cifra è di poco superiore a quella degli anni antecedenti.
Chiudendo il suo intervento con parole che rimarcano la distanza esistente tra Mosca e Pechino: “Dall’inizio della guerra, la Cina ha condotto due cicli di mediazione diplomatica. Il successo si è rivelato sfuggente, ma nessuno dovrebbe dubitare del desiderio della Cina di porre fine a questa guerra crudele attraverso i negoziati. Questo desiderio dimostra che la Cina e la Russia sono Paesi molto diversi. La Russia cerca di sovvertire l’ordine internazionale e regionale esistente con la guerra, mentre la Cina vuole risolvere le dispute in modo pacifico”. E ammonendo su come “in assenza di un cambiamento fondamentale nel sistema politico e nell’ideologia della Russia, il conflitto potrebbe essere congelato. Ciò consentirebbe alla Russia di continuare a lanciare nuove guerre dopo una tregua, mettendo il mondo ancora più in pericolo”.