Il Centro studi di Viale dell’Astronomia aggiorna le sue previsioni e porta il Pil tricolore nel 2023 allo 0,9%, il doppio della media europea. Il disavanzo nel 2024 scenderà più del previsto, ma non sarà facile eliminare le scorie del Superbonus. Mar Rosso e costo dell’energia le incognite
A Giancarlo Giorgetti, i cui sonni sono stati tormentati, a buona ragione, dagli effetti catastrofici del Superbonus sui conti pubblici, si potrà forse strappare un sorriso. Perché a sentire Confindustria e il suo Centro studi, che hanno appena alzato il velo sulle previsioni per i prossimi due anni, il vento per l’Italia rimane ancora in poppa. A dieci giorni dall’approvazione del Def, gli industriali, pronti al passaggio di consegne tra Carlo Bonomi ed Emanuele Orsini nell’assemblea di maggio, raccontano una verità diversa, almeno un po’, da quella del Fondo monetario internazionale, che proprio ieri ha diffuso il suo outlook di primavera.
Per esempio, si legge nel rapporto Tassi, Pnrr, superbonus, energia: che succederà alla crescita italiana, che lo Stivale “ha sorpreso in positivo nel 2023, arrivando al +0,9% annuo nonostante i tassi e l’inflazione alti. In decelerazione dai ritmi altissimi del 2021-2022, che incorporavano il recupero post-pandemia, ma molto meglio dei modesti ritmi italiani pre-pandemia. Una crescita 2023 che è pari al doppio di quella media dell’Eurozona”. E ancora, “il Pil italiano nel 2024 è atteso crescere in linea con la dinamica osservata nel 2023: nello scenario base, il Centro studi prevede un incremento annuo del +0,9%, ovvero 0,4 punti percentuali in più rispetto a quanto previsto nello scenario di ottobre scorso. La crescita nel 2025 è attesa poco superiore, al +1,1%. E nel biennio di previsione 2024-2025, oltre al miglioramento della domanda globale che darà nuovo impulso all’export, due fattori potranno sostenere ancora la crescita italiana su ritmi significativi”.
E buone nuove ci sono anche dal fronte del deficit, il vero anello debole delle finanze italiane. “Il rientro del deficit sarà consistente nel 2024, arrivando al 4,4% del Pil, più lento nel 2025, al 3,9%”, spiegano gli economisti di Viale dell’Astronomia. Il debito pubblico italiano (che per effetto del Superbonus a fine 2024 sfonderà il muro dei 3 mila miliardi, ndr) è stimato in risalita al 139,1% del Pil nel 2024, ovvero +1,8 punti di Pil in più rispetto al 2023, e nel 2025 è previsto continuare a salire di altri 2 punti circa, al 141,1%. Questo per effetto di due fattori: la differenza tra costo medio del debito e crescita nominale torna ad essere positiva; c`è un effetto sfavorevole di riclassificazione contabile relativo ad alcune agevolazioni fiscali, Superbonus e Transizione 4.0″. Gli industriali sanno poi molto bene che “sui conti pubblici tornano operative quest’anno le regole del patto di Stabilità largamente modificate e per lo più in meglio, richiederanno all`Italia e a diversi altri paesi Ue interventi per migliorare deficit e debito, per riportarli verso i parametri fissati che, in sintesi, richiedono un indebitamento stabilmente e significativamente sotto al 3%”.
Attenzione però, perché sulla strada della crescita, su cui inevitabilmente impatterà positivamente il taglio dei tassi previsto dalla Bce per l’estate, ci sono due ostacoli non da poco. Primo freno, “il costo dell’elettricità pagato dalle imprese resta più alto in Italia rispetto ai principali paesi Ue e anche rispetto agli altri grandi competitor internazionali come Usa e Giappone. Tutto ciò crea uno svantaggio competitivo per le imprese italiane: una riforma del mercato elettrico e una maggiore quota di rinnovabili nella generazione elettrica, visto che oggi hanno costi inferiori alle fonti fossili, potrebbero attenuare i costi dell’energia in Italia e ridurre (sebbene non eliminare) la dipendenza estera”.
Secondo freno, il graduale phase out (eliminazione, ndr) del Superbonus, già in scadenza a fine 2023 in termini di aliquota al 110%, e degli altri incentivi all’edilizia. “Le costruzioni ad uso residenziale, in termini di valore aggiunto e quindi di contributo al Pil, dovrebbero risentire fortemente di tale prevista riduzione degli incentivi, già nel 2024 e in misura ancora maggiore nel 2025. La manifattura non dovrebbe risentirne molto. È chiaro che parte della crescita del Pil negli anni scorsi è attribuibile agli impatti del Superbonus, 2,4 punti percentuali in 4 anni”.
Ancora, “le strozzature mondiali nei trasporti e il loro impatto negativo per l’industria italiana. Il tema della sicurezza dei trasporti non riguarda solo il Mar Rosso, snodo cruciale dello scambio di merci tra Europa ed Asia, ma anche numerose altre fragilità lungo le rotte internazionali di trasporto, per esempio nello stretto di Malacca (in Asia) e nel canale di Panama (in America). In Italia, più della metà dei volumi di merci in entrata arriva via mare e le navi trasportano il 42% delle quantità esportate. Diverse criticità, inoltre, si hanno anche nelle rotte regionali dei trasporti, che sono per lo più via terra: per l’Italia in particolare lungo l’arco alpino, per le connessioni con gli altri paesi Ue. A proposito della crisi nel Mar Rosso, in particolare, l’impatto dei recenti aumenti dei costi di trasporto marittimi, più che raddoppiati, sui prezzi alla produzione dell’industria italiana è stimato complessivamente moderato, ma è forte in specifici settori come la chimica, la metallurgia, la carta”.