Il declino non è un destino ineluttabile né per l’Europa né per l’Italia. La chiave è l’innovazione digitale. Il commento di Stefano da Empoli, presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)
Mancano neppure due mesi alle elezioni europee ma a parte i nomi di possibili candidati e le possibili ricadute sugli equilibri politici italiani da noi non si parla praticamente per nulla dell’idea di Europa che un Paese come il nostro dovrebbe avere. Eppure, a due italiani, Mario Draghi ed Enrico Letta, sono stati affidati i due rapporti principali, rispettivamente sulla competitività e sul mercato unico, di cui si parlerà quest’anno a Bruxelles e nelle principali capitali degli Stati membri. Di competitività e mercato unico e del fondamentale contributo che possono dare le tecnologie digitali si occupa un position paper pubblicato nei giorni scorsi, in occasione di un evento nella capitale europea, da PromethEUs, rete di think dell’Europa meridionale coordinata dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e composta dal Real Instituto Elcano (Spagna), IOBE – Fondazione per la Ricerca Economica e Industriale (Grecia) e l’Istituto di Politica Pubblica – Lisbona (Portogallo).
In una rara dimostrazione di unanimità, gli economisti spiegano che la produttività totale dei fattori è responsabile di una grande parte della crescita a lungo termine. Ciò significa che quest’ultima è principalmente spiegata dall’innovazione piuttosto che dalla mera accumulazione di lavoro e capitale. L’innovazione può essere interpretata più o meno estesamente ma è chiaro che le tecnologie digitali svolgono un ruolo considerevole nell’influenzarla. In un articolo scientifico del 2020, Robert J. Gordon e Hassan Sayed hanno dimostrato che la maggior parte della ripresa della produttività negli Stati Uniti tra il 1995 e il 2005 è stata guidata dalle industrie intensive di TIC che producono servizi di mercato e hardware informatico mentre, d’altro canto, nello stesso periodo, l’Unione europea ha sperimentato un rallentamento della crescita a causa di scarsi investimenti in TIC, di un fallimento nel cogliere i benefici dell’efficienza delle TIC e di carenze di performance in specifiche industrie inclusa la produzione di TIC. Da allora, i Paesi dell’Unione europea hanno continuato a perdere terreno tecnologico e, di conseguenza, economico rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. In un discorso recente, Isabel Schnabel, membro del consiglio della Banca centrale europea, ha ricordato che “all’inizio del millennio, l’Europa operava alla frontiera tecnologica globale, ma oggi molte aziende dell’area euro sono in ritardo. Rispetto a molti dei loro pari a livello globale, investono meno sia in capitale fisico che in ricerca e sviluppo, e sono meno produttive”.
In vista delle prossime elezioni e del dibattito guidato dai rapporti sul futuro del mercato unico, che dovrebbe uscire la prossima settimana, e sul futuro della competitività dell’Unione europea, atteso per fine giugno, PromethEUs, oltre a produrre un documento che analizza il ruolo giocato dall’innovazione digitale e dalle relative politiche e regolamentazioni nel guidare la crescita dell’Unione europea, ha lanciato un decalogo di proposte di politica digitale per il prossimo mandato delle istituzioni europee.
Grazie anche ai fondi dell’Unione europea (in particolare, quelli assegnati dal Programma Next Generation EU), le economie del Sud dell’Unione europea hanno registrato prestazioni superiori alla media dell’Unione europea negli ultimi due anni, come ha riportato un approfondimento di pochi giorni fa del Financial Times. Tuttavia, a parte il suo impatto fiscale e macroeconomico temporaneo, il risultato più importante che ci si dovrebbe aspettare dal Programma NGEU dovrebbe essere quello di accelerare la transizione digitale e aumentare permanentemente l’innovazione e la competitività.
Oggi, l’intelligenza artificiale (IA), e in particolare l’IA generativa, è pronta a stimolare la produttività e la crescita in vari settori ed economie in tutto il mondo ma, ancora una volta, gli Stati membri dell’Unione europea mostrano evidenti vulnerabilità. Secondo un altro studio recente condotto da PromethEUs, l’Europa è ad esempio significativamente sotto le prestazioni dei principali competitor globali in termini di brevetti IA. In base ai dati dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, sui primi 167 università e istituti di ricerca pubblica per brevetti, solo quattro sono in Europa. Di questi quattro organismi europei di ricerca pubblica, il più alto in classifica è l’Istituto tedesco Fraunhofer, che si trova al 159° posto, mentre la Commissione francese per le energie alternative e l’energia atomica (CEA) è in 185ª posizione. Allo stesso tempo, le startup europee hanno ricevuto solo 1 miliardo dei 22 miliardi che i VC hanno investito in IA generativa dal 2019 al 2023, attraendo in Europa meno del 5% della somma complessiva.
Sarebbe però del tutto sbagliato rassegnarsi così come, tuttavia, far finta di nulla o pensare che la sola regolamentazione, non accompagnata da adeguati investimenti, possa dare un vantaggio competitivo o strategico all’Europa.
Secondo il decalogo di PromethEUs, innanzitutto, dovrebbe essere nettamente rivisto al rialzo il budget delle iniziative UE dedicate al settore, come il programma Europa Digitale. L’attuale budget (meno di 10 miliardi di euro in 7 anni in cinque diverse aree tecnologiche) non corrisponde nemmeno agli investimenti individuali delle più grandi aziende mondiali in una singola tecnologia come l’IA generativa (per fare un esempio, i 10 miliardi di dollari forniti da Microsoft a OpenAI all’inizio del 2023). Ma va migliorato anche il modo in cui vengono spesi i soldi, prevedendo un maggiore coordinamento per alcuni settori chiave. Ad esempio, il piano coordinato per l’IA, avviato nel 2018, dovrebbe essere ripreso e rafforzato, così come la sua governance (prevedendo un qualche meccanismo sanzionatorio per gli Stati membri che non mantengono gli impegni).
Inoltre, gli appalti pubblici dovrebbero finalmente diventare uno strumento di politica industriale, secondo regole definite a livello Ue. Per lo sviluppo delle tecnologie di frontiera, potrebbero essere previsti meccanismi centralizzati o almeno coordinati per accelerare il loro processo di immissione sul mercato con un ruolo attivo della domanda pubblica.
Si dovrebbe lavorare con decisione a ridurre gli oneri burocratici a livello Ue e nazionale, specialmente per le startup e altre entità che si vogliono espandere a livello internazionale. Il processo di scaling-up dovrebbe essere facilitato, con corsie preferenziali per le startup e le piccole e medie imprese innovative, al fine di incoraggiarle a operare al di fuori del proprio Paese di origine. Dopo l’ondata di nuove regolamentazioni prodotte negli ultimi mandati legislativi, semplificare la legislazione digitale dell’Unione europea sarebbe un passo essenziale, rendendola più semplice e aumentandone la coerenza. A tal proposito, potrebbe essere estremamente utile per tutti (soggetti regolati così come regolatori e terze parti) la produzione di Testi Unici, che raccolgono e riconciliano la legislazione esistente.
Inoltre, non può essere più rinviato il completamento dell’Unione dei mercati dei capitali, essendo l’attuale dimensione nazionale degli investimenti finanziari in aziende innovative un fattore che limita la crescita delle startup europee ma anche di istituzioni finanziarie come i fondi di venture capital e private equity.
Dovrebbero essere messe in atto nuove forme di collaborazioni pubblico-private per l’aggiornamento professionale e la riqualificazione del management e del personale delle piccole e medie imrpese, fornendo strumenti facili da usare (ad esempio, corsi multimediali, disponibili in ogni lingua).
Nella Strategia Europea sui Dati, presentata nel 2019, i dataspace settoriali disponibili a livello dell’Unione europea sono stati giustamente previsti come uno strumento essenziale. Purtroppo, le istituzioni uscenti hanno ottenuto troppo poco, a causa di molte circostanze impreviste e ostacoli nazionali/locali. Il processo di attuazione sottostante ai dataspace settoriali deve essere notevolmente accelerato e gli ostacoli attuali efficacemente rimossi.
Inoltre, l’interoperabilità e gli ecosistemi digitali aperti dovrebbero essere principi guida da valorizzare nell’evidente interesse delle organizzazioni europee, in media più piccole delle loro omologhe statunitensi o asiatici.
Infine, si dovrebbe puntare con più decisione sugli strumenti della diplomazia digitale, come forum multilaterali e accordi bilaterali, promuovendoli attivamente e prevedendo una delega specifica in capo a un singolo commissario.
Il declino non è un destino ineluttabile né per l’Europa né per l’Italia (e gli altri Paesi sud-europei). Dare priorità all’innovazione digitale sarebbe una scommessa sicura per tenerlo a bada.