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Crescita e deficit nel segno della prudenza. Giorgetti spiega il Def

​Tra pochi giorni il Documento di economia e finanza finirà sul tavolo del Consiglio dei ministri. La linea del Tesoro è sempre quella della prudenza, evitando i giochi di prestigio. Anche perché le nuove regole fiscali sono in agguato e per smaltire le scorie del Superbonus ci vorrà tempo

La linea è tracciata, quando mancano pochi mesi al ritorno delle regole fiscali su debito e deficit, alias nuovo Patto di stabilità. Al Tesoro sono giorni febbrili, si sta ultimando la stesura del nuovo Documento di economia e finanza, da portare in Consiglio dei ministri entro pochi giorni, verosimilmente il 9 aprile. Quei saldi forniranno il perimetro entro il quale incastonare la prossima manovra, alla quale il governo comincerà a lavorare già dall’estate.

Di sicuro, come ha fatto ben intendere alla sua maniera il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ascoltato dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato, la filosofia sarà ancora quella della prudenza. Non potrebbe essere diversamente in tempi di conti pubblici esplosi per colpa del Superbonus, una misura che, per stessa ammissione di Giorgetti, lascerà delle scorie ancora per anni. Solo per il triennio 2024-2026, tanto per dare una cifra, lo strumento voluto dal Movimento 5 Stelle peserà per 30-40 miliardi sulle finanze pubbliche (oggi scade peraltro il termine per le comunicazioni di sconti in fattura e cessioni dei crediti relativi ai lavori del 2023).

Se davvero Palazzo Chigi vuole replicare le misure della scorsa manovra, bisognerà lavorare con squadra e compasso, nell’attesa che a Francoforte la Banca centrale europea faccia la sua parte, sgonfiando i tassi in estate e ridando ossigeno al debito italiano, riducendo la spesa per interessi sui titoli. E allora ecco che, se non ci saranno ribaltoni dell’ultima ora, la crescita dovrebbe attestarsi all’1%, per poi portarsi all’1,2% il prossimo anno. Il governo punta insomma a una revisione molto limitata delle stime costruite a ottobre, che rinuncia a due decimali quest’anno e ad altrettanti il prossimo (per il 2026 era già previsto un più modesto +1%).

Il mantenimento di una previsione di crescita non troppo modesta. Quanto al deficit, che è il vero punto del Def, il disavanzo dovrebbe rimanere quest’anno sotto al 4,5% del Pil, vicinissimo al 4,3% stimato a ottobre e molto sotto al 7,2% al momento indicato per il 2023, per scendere ulteriormente sotto il 4% l’anno prossimo. Più complicato mantenere la stasi del debito (137,3% nel 2023 per l’Istat), che dovrà gestire 5-8 decimali di Pil di eredità da Superbonus aggiuntiva rispetto a quella già scontata dai tendenziali d’autunno. Di qui, ecco spiegata la prudenza di Giorgetti.

“Il livello del debito pubblico per evidenti ragioni di sostenibilità, richiede la massima ponderazione delle risorse da destinare alle singole politiche pubbliche e, oramai, l’innegabile necessità di misurare e monitorare gli effettivi benefici di ogni singola spesa”, ha chiarito il ministro in audizione. Avviso ai naviganti, massima vigilanza sulla spesa pubblica e niente giochi di prestigio sui conti pubblici. Per questo “il Documento di economia e finanze, che a breve sarà presentato in Parlamento sarà più leggero, anche in considerazione della attuale fase di transizione per la governance europea”, ovvero il ritorno delle regole fiscali poc’anzi citate.

Anche perché c’è da fare i conti con l’Europa. L’Italia quest’anno dovrà incassare il colpo di una procedura di infrazione per deficit eccessivo. Sì, prima la pandemia, poi lo tsunami dei bonus e infine il colpo di grazia del Superbonus, hanno pompato il disavanzo. Come a dire, le attenuanti ci sono, ma la sostanza non cambia. “Essendo terminata a fine 2023 la sospensione del Patto di stabilità e crescita introdotta a seguito della pandemia e prorogata per via della crisi energetica, in base all’indebitamento netto registrato dall’Italia lo scorso anno è scontato che la Commissione europea raccomanderà al Consiglio di aprire una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti del nostro come di diversi altri Paesi”.

Insomma, c’è poco da fare voli pindarici, sia per questioni contabili, sia per questioni legate all’occhio dell’Europa sui conti italiani. “I vincoli della nuova governance europea richiedono un cambio di prospettiva che, dalla fase emergenziale, ci riporti progressivamente verso un percorso ordinario. Quelli che vi ho fornito sono numeri significativi. Le garanzie disegnate durante la fase più acuta della crisi indotta dal Covid hanno svolto una loro funzione di immissione di liquidità per il sistema imprenditoriale italiano, sostenendo le categorie più fragili nell’acquisto della prima casa e supportando le nostre esportazioni. Questo massiccio intervento da parte dello Stato, concepito in un contesto macroeconomico e geopolitico incerto e complesso, ha comportato un significativo impegno di risorse pubbliche stanziate”.

Piccola nota di colore, a margine dell’audizione, nei corridoi di Montecitorio. Alla domanda se ci fosse un futuro da Commissario europeo, Giorgetti ha risposto: “chi mi conosce sa che cinque anni fa manifestai indisponibilità a chi me lo chiese. Dopodichè i ministri ci sono, cambiano, che ne so?”. Ai giornalisti che insistevano sul tema chiedendo se avesse cambiato idea rispetto a cinque anni fa, ha risposto con un secco no.



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