L’Alleanza Atlantica ha bisogno di più soldati per difendersi in un eventuale confronto militare con Mosca. Ma i tassi di reclutamento sono più bassi che mai. E si torna a pensare alla coscrizione
Che l’inferiorità numerica sia stata una costante nella storia dell’Alleanza Atlantica, non è certo una novità. Durante la guerra fredda, la superiorità del Patto di Varsavia in fatto di uomini, ma anche di carri armati, sottomarini, aerei da combattimento era un assioma intorno alla quale i vertici militari della Nato avevano pianificato le strategie di difesa del continente europeo, qualora un’escalation con Mosca avesse portato al verificarsi di un conflitto nel Vecchio continente. Ad anni di distanza, con il riaccendersi delle tensioni tra Mosca e l’Alleanza Atlantica, il problema di fondo rimane lo stesso.
Il colpo di mano che il Cremlino ha organizzato in Crimea, oramai dieci anni fa, ha preso totalmente di sprovvista Washington e i suoi alleati, che avevano progressivamente smontato il build-up militare dei decenni precedenti sulla base della convinzione che un confronto militare con la Russia sarebbe stato pressoché impossibile. Nel 2014, la presenza militare americana nel continente europeo aveva raggiunto un minimo storico: solo trentamila fanti Usa (che il Pentagono ha cercato di far sembrare trecentomila) erano dispiegati nell’area, una frazione rispetto alle centinaia di migliaia che si potevano contare durante i momenti più caldi della Guerra Fredda. “L’Alleanza Atlantica si era sostanzialmente dimenticata delle sue forze armate. Quel numero era assolutamente insufficiente in caso del verificarsi di una crisi significativa”, ha detto a Foreign Policy un diplomatico di alto livello della Nato, che ha decido di rimanere in condizione di anonimato per poter affrontare la questione della pianificazione militare.
Ma quell’evento ha portato l’Alleanza a risvegliarsi dal suo torpore. Durante gli ultimi anni la Nato ha avviato i preparativi per fronteggiare un’invasione russa attraverso tre diversi assi, schierando carri armati, munizioni e artiglieria in quantità necessarie. Ma l’aspetto del personale continua a risultare problematico. E l’intenzione di espandere l’Allied Responce Force a trecentomila effettivi (rispetto ai quarantamila attuali) rende necessario per l’Alleanza rivedere il sistema di contribuzione di risorse umane da parte dei Paesi-membri. O, per dirla con le parole del Presidente del Comitato Militare Nato Rob Bauer: “Dobbiamo pensare ad assicurarci di avere abbastanza militari per eseguire i piani che abbiamo concordato”.
Il sistema di reclutamento professionalizzato e su base volontaria, adottato dalla maggior parte degli Stati parte dell’Alleanza, sta attraversando un momento di difficoltà. Il caso del tasso di disoccupazione seguito alla fine della pandemia contribuisce, ma non è l’unico fattore in ballo: inidoneità fisica, presenza di disturbi mentali, o una fedina penale sporca sono causa di esclusione dal bacino di reclutamento per le forze armate. E gli esperti affermano che il minore afflusso di volontari ai centri di reclutamento è dovuto anche all’assenza di una minaccia esistenziale per il proprio Paese: “Siamo vittime del nostro stesso successo. Il senso di minaccia esistenziale non è necessariamente forte come un tempo, il che è positivo, ma comporta alcune sfide quando si tratta di reclutamento” afferma la direttrice del programma “Military, Veterans and Society” del Center for a New American Security (Cnas) Kate Kuzminski. La situazione generale è difficile. L’esercito americano in servizio attivo è più piccolo di quanto non sia mai stato in oltre ottant’anni. L’esercito britannico ha mancato i suoi obiettivi ogni anno dal 2010, mentre la Bundeswehr tedesca si è ridotta di 1.500 unità lo scorso anno, nonostante una massiccia campagna di reclutamento.
Così la Nato guarda al modello di Paesi “minori”. Alcune nazioni dell’Europa nord-orientale, come l’Estonia, la Finlandia, la Lituania e la Norvegia, hanno già attivo un servizio di leva. Anche la Lettonia sta riportando la coscrizione, e la Svezia, che un tempo arruolava metà della sua popolazione, ha riportato in auge il vecchio modello di mobilitazione e sta cercando di raddoppiare i suoi soldati di leva entro il 2030. La Polonia sta cercando di resistere alle difficoltà economiche, costruendo un esercito di duecentocinquantamila uomini in servizio attivo a cui si aggiungono cinquantamila difensori territoriali. “Se si parla di persone e non si riesce a trovarle in termini di servizio volontario nelle forze armate professionali, allora bisogna pensare ad altri modi per trovarle” ha detto Bauer. “E questo è il servizio di leva o la mobilitazione”.