L’Alleanza Atlantica gode di ottima salute, ma le sfide da affrontare sono tante, in uno scenario internazionale sempre più complesso. In vista della conferenza organizzata dalla Sioi e dalla Nato Public Diplomacy Division dedicato ai 75 anni dell’Alleanza, Airpress fa il punto sulle sfide del Patto atlantico con il presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale, l’ambasciatore Riccardo Sessa
Dopo 75 anni comprendiamo la lungimiranza della Nato. Con queste parole il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rimarcato pochi giorni fa l’anniversario della nascita dell’Alleanza Atlantica. Di fronte alle crescenti sfide per il Patto, e in vista del prossimo summit Nato di Washington, la Società italiana per l’organizzazione internazionale (Sioi) organizza a Roma il 15 e 16 aprile, in collaborazione con la Divisione diplomazia pubblica del Segretariato della Nato, una conferenza internazionale per approfondire le principali tematiche alle quali è confrontata oggi l’Alleanza Atlantica, che sarà aperta da un indirizzo di saluto proprio dal Capo dello Stato. Airpress ha parlato delle sfide che la Nato si sta preparando ad affrontare, e che saranno al centro dell’evento, con l’ambasciatore Riccardo Sessa, presidente della Sioi.
Ambasciatore, a 75 anni dalla sua fondazione, qual è lo stato di salute dell’Alleanza Atlantica?
L’Alleanza, come tutti coloro che sono diversamente giovani, ha avuto i suoi problemi in passato, ma in sostanza gode di un ottimo stato di salute. Questo, in parte, è anche dovuto a un medicinale straordinario: Vladimir Putin, al quale i membri dell’Alleanza dovrebbero erigere un monumento equestre sul piazzale del quartier generale a Bruxelles. Scherzi a parte, è vero che negli ultimi anni in tanti si sono chiesti se l’Alleanza avesse ancora un significato e una sua validità. Noi oggi celebriamo il 75simo anniversario di questa organizzazione, e se guardiamo ai risultati, sono decisamente incoraggianti.
Ci spieghi…
L’Alleanza nasce ad aprile 1949 con dodici membri fondatori, tra i quali c’è l’Italia, che diventano 15 già dopo pochi anni, e 16 con la Spagna garantendo pace e sicurezza per tutto il periodo buio della Guerra fredda, e a quei tempi non si scherzava: il rischio di una deflagrazione e di un peggioramento delle condizioni di sicurezza in Europa era costante e imminente. Alla caduta del Muro di Berlino c’eravamo tutti illusi che fossero terminati i periodi bui della sicurezza in Europa. L’Alleanza, attraverso vari processi di allargamento, fino agli ultimi recentissimi di Svezia e Finlandia, è arrivata oggi a 32 membri. Questo significa che è fuori discussione la validità della Nato. L’Alleanza ha, infatti, rappresentato quell’ombrello di sicurezza che ha consentito all’Europa, all’Occidente e al mondo intero di andare avanti e di crescere. Questo è anche l’obiettivo che la Nato ha nel prepararsi ai prossimi 75 anni.
E proprio al futuro dell’Alleanza Atlantica è dedicato l’evento “Nato at 75: shaping a new transatlantic agenda, security and peace at a time of global transformations” organizzato dalla Sioi insieme alla Nato Public Diplomacy Division…
Esatto, abbiamo voluto fornire un contributo da parte dell’Italia e di una organizzazione come la Società italiana per le organizzazioni internazionali (Sioi) al prossimo vertice della Nato a Washington questa estate. L’obiettivo, ambizioso, è quello di cercare di prefigurare la nuova agenda transatlantica in materia di sicurezza e di pace in un’epoca di trasformazioni globali. Lo faremo lunedì 15 e martedì 16 aprile a Roma con una serie di panel stimolanti su diversi dossier: dal sostegno all’Ucraina al futuro della Russia, passando per la deterrenza, la difesa della democrazia e dello Stato di diritto, le sfide globali e le minacce regionali dai Balcani, al Mediterraneo fino al Golfo. Questi panel saranno animati da un gruppo numeroso di qualificatissimi esperti, civili e militari, internazionali e nazionali, che dibatteranno su questi argomenti.
L’anniversario arriva in un momento complesso, con l’invasione russa dell’Ucraina che ha rappresentato il ritorno alle porte dell’Europa di un conflitto convenzionale…
È vero. Questo anniversario arriva in uno dei momenti più difficili per la comunità internazionale. L’aggressione russa all’ucraina ha certamente rappresentato un brusco risveglio da quella sorta di sogno di stabilità e pace coltivato per decenni. La guerra al centro dell’Europa ha coinvolto tutti. Questo conflitto è stato affrontato in maniera diversa dai diversi attori: la Russia ha potuto permettersi il lusso di passare ad un’economia di guerra. L’Europa non se lo può permettere, né vuole questo passaggio, poiché i nostri Paesi hanno priorità che non sono soltanto di difesa, ma anche di sviluppo economico, sociale, eccetera. Questo rappresenta sicuramente uno sforzo enorme per l’Europa nell’affrontare questa guerra, nella quale la Nato, formalmente, lo ricordo, non è coinvolta.
Il conflitto ha dimostrato la necessità per lo spazio euro-atlantico di rafforzare i propri sistemi di difesa e deterrenza. In Europa, questo significa soprattutto ridurre le inefficienze e le duplicazioni e aumentare gli investimenti nel settore difesa, raggiungendo in particolare l’obiettivo del 2% del Pil da destinare alla Difesa. In che modo la Nato può aiutare in questo processo di rafforzamento?
Certamente, questo è un problema con il quale l’Alleanza si è confrontata fin dalla nascita, ma è connesso alla configurazione stessa dei membri della Nato, legato a quelle ragioni sottolineate prima: abbiamo altre priorità. Certo, oggi dobbiamo essere tutti consapevoli che una difesa sostenibile e credibile per essere tale deve presupporre risorse finanziarie e umane altrettanto sostenibili e credibili. Da questo punto di vista, quindi, l’Alleanza composta da 32 Stati sovrani ciascuno con logiche diverse in termini di priorità sul piano interno, può certamente continuare a costituire quel collante affinché il problema di una difesa più efficiente possa essere affrontato in maniera sinergica e con gli aggiustamenti resti necessari dagli sviluppi più recenti, cioè dalla guerra.
Il fianco orientale non è l’unica regione di preoccupazione per l’Alleanza Atlantica. Dal Sahel al Medio Oriente, passando per i Balcani e il Mediterraneo, il fianco sud è attraversato da fragilità e instabilità. In che modo la Nato sta affrontando queste sfide, e quali misure dovrebbe mettere in campo per rafforzare la propria presenza nella regione meridionale?
Il fianco orientale e quello meridionale sono i due settori di potenziali crisi alle quali i Paesi dell’Alleanza hanno sempre guardato senza mai sottovalutarne l’importanza. Quando arrivai la prima volta alla Nato, all’inizio del 1978, eravamo in piena Guerra fredda, e l’Alleanza si esercitava a difendersi da Mosca. Abbiamo poi scoperto, anni dopo, che dall’altra parte della Cortina di ferro si esercitavano ad attaccarci. Tuttavia, sebbene il fianco orientale fosse la principale preoccupazione della Nato, l’Alleanza non ha mai dimenticato il fianco sud, dove già in quegli anni si concentrava altrettanta attenzione, specialmente da parte italiana. Questa attenzione non è assolutamente diminuita, anzi, è cresciuta la consapevolezza dei problemi del sud, tanto è vero che la Nato si è poi attrezzata e organizzata. Noi, infatti, celebriamo quest’anno anche l’anniversario del dialogo che la Nato ha instaurato con i Paesi del Mediterraneo fin dal 1994 e di un altro forum avviato nel 2004 con l’iniziativa di Istanbul nei confronti dei Paesi del Golfo. Si tratta di iniziative che hanno conseguito importanti risultati ma che devono essere a nostro avviso riprese e rilanciate. La sicurezza dell’aerea del Mediterraneo allargato al mar Nero e al Golfo è fondamentale per la sicurezza europea e quindi per la sicurezza transatlantica. Noi italiani lo abbiamo sempre sostenuto con convinzione.
Quella attuale è stata definita un’epoca di ritorno della competizione strategica globale. Mosca e Pechino, in particolare, che mettono in discussione le fondamenta stessa dell’attuale ordine internazionale basato sulle regole. Quale postura dovrebbe assumere la Nato per fronteggiare questo nuovo scenario?
Mosca e Pechino sono i due punti sui quali in questo momento si concentra buona parte della riflessione dell’Alleanza Atlantica. Tuttavia, credo che sia opportuno fare una distinzione tra le due situazioni. La Russia, per mille motivi, costituisce da sempre, fin dalla nascita dell’Alleanza, la minaccia maggiore. I Paesi dell’Occidente, con la caduta del muro di Berlino, hanno fortemente auspicato che sarebbe stato possibile trovare delle forme di convivenza, di collaborazione e di coesistenza con la Russia. Purtroppo, con responsabilità che da un punto di vista politico e storico vanno attentamente distribuite, questo sogno non si è avverato.
E la Cina?
La Cina non può essere considerata seriamente una minaccia per la Nato, ma certamente è una grande sfida, e l’Occidente e l’Europa devono essere in grado di gestirla per impedire alleanze e matrimoni innaturali quali, per esempio, quello tra Pechino e Mosca. È quindi più che mai necessario rispolverare le armi della più tradizionale diplomazia ed evitare che Cina e Russia svolgano dei ruoli non certamente positivi in Ucraina (per quanto riguarda Mosca) e in altri fronti, penso al teatro meridionale.
Guardando al futuro dell’Alleanza Atlantica, cosa si può prefigurare?
Oggi non solo l’Alleanza, ma il mondo occidentale è alle prese con l’esigenza di dover ripensare completamente non solo la propria difesa, ma anche e soprattutto il proprio essere protagonisti e utenti di una nuova comunità internazionale. Sostengo da tempo che nel mondo c’è una crisi di leadership e quindi di governance, strumenti che nel passato hanno svolto un ruolo importante. Il mondo sta affrontando una crisi di crescita spaventosa, e le vecchie forme di multilateralismo hanno dimostrato tutti i limiti di ottant’anni di impossibilità di gestire in maniera organica e seria le varie crisi internazionali. Non è un caso se oggi si parla di nuovi allineamenti internazionali, perché si sono affacciati sulla scena internazionale nuovi attori che fino a poco tempo fa non erano neanche presi in considerazione. Raggruppamenti molto ristretti non hanno oggi lo stesso peso e la stessa incidenza sulle dinamiche internazionali di quando vennero inventati nel lontano 1975, basti pensare ai Brics. Questo significa che dobbiamo tutti tirarci su le maniche e pensare seriamente a come rifondare tutto, con approcci diversi per consentire di creare un mondo migliore partendo, visto che parliamo di Nato, da una architettura di sicurezza mondiale diversa. È un sogno, ma se non sogniamo un po’ non faremo mai progressi significativi.