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Droni polari. Il nuovo piano di Mosca per controllare l’Artico

Fonti del ministero della Difesa russo svelano un nuovo piano del Cremlino per costruire una rete di basi per droni lungo tutto il percorso della North Sea Route. Una scelta tanto conveniente quanto efficace. E forse obbligata

Un’estesa rete di basi per droni, disseminate lungo l’intera costa artica. È questo il piano di Mosca, secondo fonti del ministero della Difesa russo contattate dall’agenzia Izvestia. Obiettivo di questo sforzo è quello di monitorare le attività straniere lungo l’intero percorso della Northern Sea Route, stringendo significativamente il controllo del Cremlino sull’Artico. Mentre in Occidente la questione non è stata oggetto di attenzioni significative, in Russia i media hanno rilanciato la notizia con toni trionfalistici, sottolineando l’importanza di questa nuova iniziativa per contrastare gli avversari occidentali che, secondo alcuni commentatori russi suggeriscono, stanno già minacciando la Northern Sea Route, così come le rivendicazioni della Russia sull’Artico.

Nella regione della Kamchatka e nell’isola Sakhalin i lavori per la costruzione di queste basi per droni, sviluppate sulla base di infrastrutture già esistenti, sono già iniziati. Il processo di sviluppo di questo network si sposterà poi sempre più ad ovest, fino ad arrivare alla città di Murmansk, nella penisola di Kola. Nella stragrande maggioranza dei casi, le infrastrutture dovranno essere costruite ex novo.

Non vi sono però deadline di sorta sul termine dei lavori per la costruzione delle basi, anche se gli esperti russi citati dall’agenzia di stampa moscovita hanno insistito sul fatto che queste basi potrebbero essere più piccole, più economiche e più facili da rifornire rispetto alle normali strutture aeree e navali, suggerendo anche una maggiore facilità di costruzione. Anche se non tutta, una parte di questa rete potrebbe diventare operativa già quest’anno.

In un articolo pubblicato sul sito della Jamestown Foundation, l’analista statunitense Paul Goble fa notare la particolare tempistica di questa notizia, rilasciata negli stessi giorni in cui si parla di un possibile attacco con droni da parte di Kyiv nell’Artico, e dello sviluppo di un programma di droni da parte della Norvegia, considerato alquanto preoccupante da Mosca. Non a caso, il mese scorso l’esercito russo ha messo in scena due esercitazioni basate sull’uso di droni da parte della Norvegia contro obiettivi russi.

Goble nota tuttavia come quest’iniziativa russa sia parte di una tendenza più ampia condivisa da tutti i Paesi con territori significativi adiacenti all’Artico, che hanno iniziato una transizione dagli elicotteri ai droni (dopo essere passati in precedenza dai veicoli fuoristrada agli elicotteri a causa del riscaldamento globale) “per monitorare la situazione in loco, compensare la carenza di centri abitati e basi e fornire nuove capacità di ricerca e soccorso e di difesa”. Anche se, per il Cremlino, i motivi sono parzialmente diversi. Dal febbraio 2022 Mosca ha dovuto tagliare i programmi di sviluppo (militare e non) per la parte settentrionale del Paese, ed è stata costretta a spostare i finanziamenti per la costruzione di navi e lo sviluppo di basi nell’Artico alla campagna militare in Ucraina. Inoltre, la mobilitazione sproporzionata dei residenti di questa regione ha esacerbato il deflusso della popolazione e reso sempre più difficile sostenere le basi esistenti e le infrastrutture circostanti.

Resta però una questione da dirimere: gli alti funzionari russi non hanno (ancora) dato seguito alla notizia riportata da Izvestiya con una dichiarazione pubblica. L’assenza di una dichiarazione ufficiale, afferma Goble, “potrebbe essere più indicativa di uno sforzo da parte di alcuni militari russi di offrire un’alternativa economica a programmi costosi, come la costruzione di altri rompighiaccio o l’apertura di altre basi nell’Artico, che di un nuovo programma che si basa su ciò che la Russia ha già in loco”.



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