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Ecco perché la Cina soffre il caos in Medio Oriente

La Cina è in difficoltà in Medio Oriente, una regione in cui la strategia di guadagnare in disparte sta diventando sempre più impossibile da mantenere. Pechino cerca un complicato equilibrio tra Israele, Iran e regione del Golfo

A differenza della Russia, che ottiene interessi dalle destabilizzazioni caotiche dell’ordine, la Cina mira alla costruzione di un modello di governance condiviso che abbia sì “caratteristiche cinesi”, ma sia anche “armonioso”. Ed è per questa ragione di fondo che soffre la caoticizzazione della regione mediorientale – area di mondo che per gli interessi cinesi diretti (idrocarburi e commercio) e indiretti (diffusione di quel modello) è invece fondamentale sia in equilibrio. Per Pechino, la guerra a Gaza tanto quanto gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, gli scontri tra Iran e Israele come il rinvigorimento delle istanze terroristiche, rappresentano problemi. Non opportunità. Sia dal punto di vista pratico sia politico. La Repubblica popolare vuole evitare di essere tirata in ballo su complicati dossier internazionali, mentre il ruolo da potenza globale la inviterebbe alla responsabilità collettiva. E su questo Washington pressa.

L’analisi americana

La U.S. China-Commission si è occupata dell’argomento “Cina-Medio Oriente” nei giorni scorsi attraverso un’analisi composita, ospitata in un’audizione della commissione bipartisan con cui il Congresso monitora il macro-tema “Cina”. “Nel complesso, la diplomazia cinese è stata molto attiva e ha avuto molto successo nel gettare le basi per una presenza più profonda in Medio Oriente”, ha detto Jonathan Fulton dell’Atlantic Council, secondo cui “la Cina ha sviluppato un approccio profondo, ampio e sistematico all’impegno diplomatico nei paesi MENA”, usando “una serie di strumenti diplomatici bi/multilaterali che sono stati integrati negli ultimi anni con organizzazioni internazionali in cui Pechino ha un’influenza significativa”. Tuttavia, la Cina ha poca influenza sull’Iran e sui suoi partner non statali (Hamas, Houthi, Hezbollah) e non è considerata credibile da Israele: “In generale, la sua risposta agli eventi successivi all’attacco di Hamas l’ha fatta sembrare transazionale ed egoista nella regione”, spiega Fulton fotografando con lucidità la situazione generale. “Ho la forte sensazione che diamo erroneamente per scontato che la Cina sia interessata a vincere una competizione simmetrica con noi [Usa], e sottovalutiamo la misura in cui la Cina sta cercando di rimodellare la concorrenza globale a condizioni più favorevoli”, aggiunge John Alterman del CSIS, il quale ricorda come i pianificatori strategici cinesi vedano il Medio Oriente “come un luogo di pericoli più che di opportunità”. Per questo, ricorda Alterman, la Cina non vuole “soppiantare, ma integrare” il ruolo degli Stati Uniti nella regione, e non vuole fare “troppi sacrifici”, piuttosto investire in modo specifico e a medio-basso rischio.

Multilaterlismo interessato

Dawn Murphy della National Defense University ha sottolineato un altro elemento: “La spinta della Cina a creare organizzazioni per interagire con il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) riflette il ruolo crescente del Golfo Arabo nella strategia cinese in Medio Oriente, l’importanza degli stati del GCC come partner economici della Cina e la crescente coesione tra i membri del Consiglio dopo la fine dell’embargo contro il Qatar”. Allo stesso tempo, l’adesione alla Shanghai Cooperation Organization consente all’Iran di interagire con Pechino anche all’interno di un ambiente che potrebbe favorire cooperazioni triangolari, per esempio con Russia e Asia Centrale. La Sco è un modo con cui la Cina ingloba Iran e Arabia Saudita (altro recente adesore) nel suo sistema di sicurezza globale, anche se nella pratica poco si implementa questo dialogo. Piuttosto, come spiega Grant Rumley del Washington Institute, questa presenza cinese nelle forme di sicurezza regionali si manifesta nel mondo delle infrastrutture: “Si tratta di un’impronta di sicurezza unicamente cinese, poiché questi investimenti riflettono una fusione di imprese civili con accesso e controllo da parte del governo”. Ma la Cina vende anche miliardi di armamenti nella regione, dove (secondo i dati SIPRI) è stato il quarto maggiore esportatore di armi nel periodo 2019-2023 (prima solo Usa, Francia e Russia). “La Cina è riuscita a entrare nei mercati del terzo mondo, in particolare grazie ai suoi servizi convenienti, alla mancanza di vincoli geopolitici e all’offerta di pacchetti di aggiornamento e formazione, che si presentano come opzioni particolarmente allettanti”, aggiunge Maria Papageorgiou dell’University of Exter.

Trarre vantaggi

Per esempio, il mercato dei droni da attacco in Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania è dominato dalla Cina nonostante quelli siano tutti partner, anche militari, degli Stati Uniti. E non stiamo parlando solo una ragione economica, ma etica e morale: gli Usa non vendono a questi Paesi (dove le condizioni dei diritti umani sono discutibili) armamenti come i droni da attacco perché ci sono vincoli del dipartimento di Stato e del Congresso che Pechino non ha. Contemporaneamente, ricorda Alessandro Arduino del Lau China Institute del King’s College, la Cina ha accompagna il suo progetto Belt & Road Initiative (Bri) in Medio Oriente con il dispiegamento di contractor di aziende della sicurezza privata “capaci di operare efficacemente in ambienti complessi lontani dai confini della Cina mantenendo intatto il pluridecennale principio di non interferenza”. “Gli esperti di sicurezza cinesi sono sempre più espliciti nel sostenere che è giunto il momento che il settore della sicurezza privata cinese aumenti le proprie capacità e la propria presenza all’estero per proteggere i cittadini cinesi dalle minacce terroristiche”, spiega Arduino, “tuttavia, il Partito Comunista Cinese rimane risoluto, aderendo al principio maoista secondo cui il partito controlla le armi”. E però, le società private cinesi stanno facendo un lavoro di pubblicizzazione di tecnologie Made in PRC come quelle per la gestione delle masse. Parliamo per esempio dei sistemi di riconoscimento facciale che l’Occidente ha problemi etici a fornire a determinati Paesi per le ragioni sopra descritte riguardo ai droni, ma che “presto potrebbero diventare il punto di ingresso per il prodotto ‘safe cities’ dell’intelligenza artificiale cinese”. A tal proposito, val la pena anche menzionare il ragionamento di Mohammed Soliman, direttore delle programma Strategic Technologies del Middle East Institute, che spiega: “I legami economici e geopolitici con l’Occidente dettano da tempo la forma dell’ambiente digitale della regione. Ma la competizione tra grandi potenze e la ricerca della sovranità economica/tecnologica da parte dei paesi del Medio Oriente hanno lentamente decostruito queste dinamiche”.

(Questo contenuto fa parte dell’edizione di Indo Pacific Salad dedicata al ruolo che Pechino intende svolgere nel complesso Medio Oriente. Per ricevere la newsletter ci si iscrive a questo a link)



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