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Dalle promesse di Capri, alle azioni concrete. Parsi analizza il G7

È stato un bene inserire il Libano nell’agenda europea, per ricordare che la stabilità mediorientale non riguarda solo Israele e i palestinesi, ma riguarda la regione nel suo complesso. E il Libano è a rischio di coinvolgimento in questo conflitto molto elevato. L’Ue? O mette le ali e corre, oppure se continua a camminare come uno struzzo prima o poi verrà braccata”. Intervista all’analista e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Vittorio Emanuele Parsi

“Penso che l’Italia debba dimostrare, nei fatti, di essere un punto di forza della coalizione e non solo un sostenitore molto vocale”, dice a Formiche.net al termine del G7 di Capri il prof. Vittorio Emanuele Parsi, uno degli analisti più attenti del panorama internazionale. Punta l’indice contro l’emergenza ucraina, dove vi è assolutamente bisogno di mezzi e plaude all’Italia per aver messo il tema libanese all’attenzione dell’Ue. “Il G7, anche se non lo ha detto esplicitamente, ha fatto una chiara distinzione tra l’aggressione russa in Ucraina e la questione della guerra di Gaza”.

Il primo impegno del G7 di Capri è quello di ascoltare le richieste del ministro ucraino Kuleba su Patriot e Samp-T: ci saranno questi aiuti?

I numeri delle batterie mancanti sono importanti, al momento. Sulla carta abbiamo solo quella tedesca e promesse da parte di altri, quindi mettere insieme una coalizione di fornitori è un po’ poco rispetto alle esigenze. Soprattutto è lento rispetto ai tempi.

Vi è l’esigenza americana di provare a sbloccare i finanziamenti al Congresso prima delle elezioni presidenziali?

Assolutamente sì, perché gli americani hanno un’amministrazione consapevole del fatto che l’Ucraina lotta contro il tempo e quindi non è possibile aspettare l’esito delle elezioni, che potrebbe essere anche molto incerto, e solo dopo attivarci successivamente. Personalmente penso che Biden ce la possa ancora fare, ma non è detto che il Congresso poi riesca a cambiare la maggioranza per quel voto: per cui bisogna muoversi per forza prima.

Antony Blinken ha speso parole interessanti sulla mediazione dell’Italia. Quale può essere il ruolo di Roma, nella cornice del G7, sulle due emergenze belliche in corso?

Penso che l’Italia debba dimostrare, nei fatti, di essere un punto di forza della coalizione e non solo un sostenitore molto vocale: l’Italia ha una maggioranza composita con al cui interno anche soggetti che non sono molto amici di Kyiv, così come nell’opposizione il sì non è certo bipartisan e una parte dei democratici ha mal di pancia ormai sul sostegno in Ucraina, senza dimenticare l’incertezza dei Cinquestelle.

L’Italia ha chiesto che nell’agenda del Consiglio europeo fosse inserito un passaggio sul Libano. Una mossa corretta, anche alla luce della crisi che perdura in loco sin dell’esplosione del silos a Beirut nell’agosto 2020?

È una cosa importante, anche perché da moltissimi anni i nostri soldati sono presenti in Libano con responsabilità e correndo anche qualche rischio. Però se dovessi dire che i governi che si sono succeduti hanno capitalizzato questa presenza, anche solo in termini di capacità di influenza o comunque anche solo una audience rispetto alle autorità governative libanesi, direi che così non è stato. Non abbiamo mai messo a sistema la lunga presenza italiana in un Paese che pure era molto aperto nei nostri confronti e di dimensioni limitate, quindi alla nostra portata. Oggi purtroppo il Libano è alla bancarotta e quindi si tratta di un’impresa titanica. Comunque è stato un bene inserire il Libano nell’agenda europea, per ricordare che la stabilità mediorientale non riguarda solo Israele e palestinesi, ma riguarda la regione nel suo complesso. E il Libano, come sapete, è a rischio di coinvolgimento in questo conflitto molto elevato.

Un ponte verso Gaza è stato lanciato anche da Cipro in questo ultimo mese: si è parlato di un potenziale suo ingresso nella Nato. Fattibile?

Cipro ha quel problema gigantesco dato dalla partizione con la Repubblica turca di Cipro che nessuno riconosce, a parte i turchi, per cui sarebbe complicata come mossa, anche perché inseriremmo nella Nato un Paese che ha una frizione al suo interno. Inoltre è una cosa che scalda gli animi di greci e turchi, due attori che in maniera diversa per dimensioni, ma in maniera importante per il budget, hanno dimostrato grande attenzione al rinforzo della capacità militare nell’ambito dell’alleanza. Inoltre è un Paese che rappresenta un punto di tensione in crescita per via delle questioni che riguardano i giacimenti di gas scoperti tra Cipro, Israele e Libano. Inoltre, essendovi già una base inglese, non so quanto ci guadagnerebbe la Nato stessa con un suo ingresso ufficiale nell’alleanza.

G7 e Piano Mattei: la presenza del ministro della Mauritania a Capri è stata una presenza utile?

È stato un gesto simbolico. Ma un momento dopo mi auguro che il piano prenda forma e non venga usato solo come passepartout per risolvere i problemi con l’Africa. Se vorremo attirare l’Africa all’interno di una nuova collaborazione paritaria con l’Europa, questo dovrà essere un progetto europeo anche in termini di budget.

Quale il messaggio unitario sull’attacco iraniano che viene da Capri?

La posizione comune sulle sanzioni all’Iran è un elemento di partenza che rafforza la preoccupazione della comunità internazionale anche tramite la condanna occidentale nei confronti dell’Iran, sia per il suo programma nucleare sia per il suo essere comunque un attore che sponsorizza movimenti che o sono terroristici o fanno ricorso a modalità terroristiche. Poi è chiaro che il G7, anche se non lo ha detto esplicitamente, ha fatto una chiara distinzione tra l’aggressione russa in Ucraina e la questione della guerra di Gaza.

Ovvero?

Ferma restando la condanna che non può mai deflettere per gli atti di terrorismo barbari del 7 ottobre, c’è però una fortissima irritazione per le modalità con cui Israele conduce questa guerra a Gaza che ha causato 35.000 morti e per le modalità con cui le autorità israeliane occupanti lasciano campo libero quando non collaborano apertamente coi coloni nelle manifestazioni ostili alla popolazione palestinese. Le azioni israeliane potrebbero ancora rischiare di elevare il conflitto al Libano e all’Iran.

Draghi e Prodi nell’ultima settimana hanno fatto osservazioni simili sull’esigenza di riformare l’Ue anche in chiave internazionale: ci riusciranno le nuove istituzioni?

Sono convinto che servirà più unità nel campo della politica estera e di difesa, ma anche nella politica industriale e in quella fiscale, senza contare che i trattati si devono riformare all’unanimità o altrimenti si potranno cercare nuove edizioni delle geometrie variabili, uno scenario che probabilmente resterà in qualche modo l’unica soluzione possibile. Ho la sensazione però che, anche tra i grandi Paesi, al di là dell’unità di principio, alcuni temi (come Ucraina, Israele o Cina) sono variabili che a loro volta variano al loro interno. Ciò diventa ancora un fattore di complicazione. Comunque credo fermamente che o l’Unione corre e mette le ali, oppure se continua a camminare come uno struzzo prima o poi verrà braccata.


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