La lezione del genocidio armeno è attualissima e riguarda la deriva che i nazionalismi e l’esclusivismo etnico possono causare. Ecco che emerge un’urgenza. La Dichiarazione sulla fratellanza umana firmata ad Abu Dhabi da papa Francesco e dall’imam dell’università islamica di al-Azhar, Ahmad al Tayyeb, mira a porci al riparo anche da queste degenerazioni. La riflessione di Riccardo Cristiano
Quella del 24 aprile è una data importante per gli armeni e per il riconoscimento del loro genocidio, ancora negato dai turchi. Ricordarlo è importante anche per capirlo, e coglierne la lezione, sempre valida.
Nella storia delle terre che furono dell’impero ottomano c’è stata da subito confusione tra comunità religiosa e nazione. Lo dice la stessa della parola che fu assunta per tradurre questo vocabolo sconosciuto , “nazione”, introdotto in quei territori dalla spedizione napoleonica. Non esistendo, all’inizio fu usato il vocabolo “millet”, che indicava le comunità religiose che vivevano nell’impero ottomano. Ecco come mai nelle cronache del tempo si parla così di sovente di “nazione cristiana”. Tutto sommato all’inizio del Novecento l’indipendenza della Bulgaria fu proclamata in una chiesa, nella chiesa dei quaranta martiri. E anche l’indipendenza greca fu molto segnata dal fattore religioso, con transfer di cristiani e musulmani da un paese all’altro, per creare la nazionalista uniformità: per dire greci in Grecia, Turchia in Turchia si diceva basta minareti in Grecia, basta campanili in Turchia. Finiva un mondo problematico ma plurale.
Il sistema ottomano non era di certo un sistema perfetto, ma per molto tempo era stato preferibile a quello europeo che al tempo non prevedeva alcuna convivenza con l’Altro, tanto che sappiamo della triste storia delle espulsioni degli ebrei e dei mori dalla cattolicissima Spagna, tanto per fare l’esempio più noto. Gli ottomani invece rendevano ebrei e cristiani cittadini protetti dal Sultano e dai minori diritti (non pochi) ad esempio non potevano portare armi, che a quel tempo faceva una bella differenza. Nei secoli d’oro dell’impero, ben precedenti la spedizione napoleonica, quando ebrei e mori furono espulsi dalla Spagna, è lì, nell’impero ottomano che trovarono riparo, nello stupore del Sultano del tempo che non capiva come si potessero cacciare intere comunità così operose e affluenti. Poi la storia prese una piega diversa, l’impero entrò in un lento e inesorabile declino, i paesi europei invece progredirono, nel modo complesso che tutti conosciamo. La convivenza stratificata ottomana entrò in crisi, il nazionalismo si mostrò sempre più “etno-confessionale”: un Paese, un popolo, un’etnia, una fede: tutto veniva ridotto a uno. C’erano però due Armenie, una parte dell’impero persiano, poi passata in quello russo, l’altra di quello ottomano. I nazionalisti turchi presero il potere a Istanbul all’inizio del Novecento, il Sultano ormai non contava più, tutto fu nelle mani dei “Giovani turchi”: nazionalisti e, ovviamente, militari.
Ricordando la notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, Kamal Yazigi ha scritto: “Nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1915 il governo turco arrestò centinaia di leader della comunità armena di Costantinopoli, la capitale dell’impero ottomano. Furono mandati in una prigione dell’interno anatolico, e condannati a morte. Le persone arrestate quella notte comprendevano i più autorevoli membri della comunità armena: figure politiche e religiose, intellettuali, e professionisti. Nello stesso giorno 5000 dei più poveri armeni furono massacrati nelle strade di Costantinopoli e nelle loro case. […] Attraverso la storia, popolazioni civili sono state spesso vittime della brutalità degli eserciti occupanti. Quando un gruppo sottometteva un altro gruppo, era pratica comune uccidere tutti gli uomini, civili e militari, del gruppo conquistato. I nomi di Attila e Gengis Khan vengono facilmente alla mente. Nel caso armeno comunque un segmento della popolazione è stato sistematicamente decimato dal suo proprio governo. Come ladri nella notte, i turchi hanno perpetrato i loro crimini sotto la copertura della guerra mondiale”.
Yazigi ricorda successivamente la storia dell’impero, del suo lento e inesorabile declino, del nazionalismo dei cristiani balcanici che erano nell’impero e degli arabi, anche loro sottomessi agli ottomani. Questo nazionalismo non era però diffuso tra gli armeni, anche perché loro erano sparsi nel vasto territorio imperiale. Ci furono però, sul finire dell’Ottocento, alcune formazioni nazionaliste e separatiste, The Armenian Revolutionary Federation, o Dashnak, in particolare. A questo sia gli ottomani sia russi risposero con la repressione, più dura in Turchia. Ma il proposito genocidiario emerse più avanti, con i Giovani Turchi sulla base di un preciso impianto ideologico: i Giovani Turchi avevano reso il nazionalismo importato dall’Europa xenofobo, invocavano uno Stato la cui popolazione fosse soltanto etnicamente turca. Questo ai loro occhi giustificava la scelta di liquidare gli armeni. I capi che guidavano il governo del tempo sono noti: Mehmet Talaat e Ismail Enver.
Per realizzare i necessari massacri fu creato un apposito battaglione, costituito di “violenti criminali comuni” che ottennero in cambio la liberazione dalle patrie galere. I turchi che protessero gli armeni perseguitati furono uccisi anch’essi.
Il genocidio armeno ha introdotto una novità importante rispetto alla storia precedente: la deportazione. Agli armeni anatolici venne detto che sarebbero stati ricollocati in altro territorio imperiale, quindi costretti a marciare verso il deserto siriano. Lungo il tragitto molti maschi adulti e ragazzi venivano legati insieme, gettati in un fiume e il primo della catena ucciso con un colpo d’arma da fuoco: affogando avrebbe trascinato anche gli altri alla morte per annegamento. Le donne con i bambini invece marciavano in colonne sperate, a loro in molti casi veniva negato il cibo e l’acqua. Nè sono mancati, prima della morte, casi di stupro.
Tra il 1920 e il 1923 il genocidio venne portato avanti da un altro governo nazionalista, che aveva scalzato i Giovani Turchi, ma condivideva la loro ideologia di esclusivismo etnico.
La lezione del genocidio armeno è attualissima e riguarda la deriva che i nazionalismi e l’esclusivismo etnico possono causare. Ecco che emerge un’urgenza. La Dichiarazione sulla fratellanza umana firmata ad Abu Dhabi da papa Francesco e dall’imam dell’università islamica di al-Azhar, Ahmad al Tayyeb, mira a porci al riparo anche da queste degenerazioni con l’idea di comune cittadinanza, una realtà evidente per molti contemporanei ma che stenta a diventare realtà. L’Altro, anche nel nostro contesto nazionale, è una ricchezza, non un problema. Quel Documento apre le porte a una società post confessionale (prospettiva importantissima per il mondo musulmano ma non solo) e post secolare (prospettiva decisiva per l’Europa): una società cioè che si basi sulla non confessionalità o anticonfessionalità dello Stato e quindi sul reciproco apprendimento. Sarebbe ora di proporre che quel Documento diventi un Prologo alla Dichiarazione Universale dei Diritti umani.