Il concetto di “Global South” è diventato una delle pietre angolari del discorso che si svolge nel foro pubblico internazionale. In questa formula l’Occidente, ma non solo, comprende tutti i Paesi che furono il “Terzo mondo” di novecentesca memoria. Seppure questo termine suggerisca l’intenzione dei Paesi sviluppati di approcciarsi in modo cooperativo ai Paesi meno economicamente performanti, non si deve commettere l’errore di pensare che il Sud Globale sia un soggetto omogeneo. Anzi.
In un articolo pubblicato su Foreign Affairs, la presidente e amministratrice delegata dell’International Crisis Group Comfort Ero stressa proprio questo concetto: il Global South non è un’entità unica. La definizione include sia grandi potenze regionali (magari rivali tra di loro) che piccoli staterelli, democrazie e autocrazie, società con tendenze progressiste e società invece con caratteristiche conservatrici, Paesi partner dell’Occidente e suoi acerrimi rivali. Attraverso questo blocco scorrono linee di faglia dai diversi caratteri, che se ignorati rischiano di compromettere l’efficacia del dialogo costruttivo con i Paesi che lo vanno a comporre.
Ero sottolinea anche un’altra dinamica importante, ovvero quella che la visione dei singoli Stati del Global South potrebbe contrastare con quella occidentale all’interno di singole questioni, mentre in altre potrebbe condividerla. Una simmetria variabile sarà quindi necessaria per riunire i consensi necessari a promuovere i vari punti dell’agenda.
Agenda che, sempre in ossequio a quanto evidenziato finora, non dev’essere stilata soltanto in base ai parametri dei Paesi del Sud Globale che dispongono di sufficienti capacità di comunicazione, pena il rischio di creare un “Sud dentro al Sud”.
E ancora, nell’articolo della leader dell’Icg viene sottolineato come la percezione globale dell’utilizzo di un cosiddetto doppio standard da parte dell’Occidente possa pesare in questo processo di dialogo. “Solo con il sostegno di un ampio blocco di Stati che di solito sono considerati parte del Sud globale, dopo tutto, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha potuto dare una forte dimostrazione di solidarietà all’Ucraina. Ma i governi occidentali non hanno cercato di applicare questa lezione al di là della guerra tra Russia e Ucraina. Se la guerra a Gaza rappresentava il successivo banco di prova per verificare se i leader occidentali avessero davvero compreso l’importanza di affrontare le accuse di ipocrisia, quei leader sembrano aver fallito. In tutta l’Africa, l’Asia e l’America Latina, funzionari e cittadini ritengono che gli Stati Uniti e alcuni dei loro alleati in Europa abbiano approvato la distruzione di Gaza da parte di Israele. La percezione di due pesi e due misure è più forte che mai”, scrive Ero.
La quale suggerisce anche di evitare di individuare un leader all’interno del blocco, poiché ciò porterebbe inevitabilmente ad un certo grado di parzialità indesiderata. E anche inutile: “Il gioco di società sulla leadership del Sud globale distoglie l’attenzione dalle vere sfide che devono affrontare gli Stati di piccole e medie dimensioni. Proprio mentre gli opinionisti occidentali hanno iniziato a speculare su quali nuovi tipi di potere possano esercitare i Paesi in via di sviluppo come blocco, le sorti di molti singoli Stati non occidentali hanno preso una brutta piega. Quasi due terzi dei Paesi meno sviluppati del mondo si trovano ora ad affrontare gravi difficoltà di indebitamento. Alcuni dei più poveri, tra cui diversi Paesi dell’Africa occidentale, stanno sperimentando l’instabilità politica e il deterioramento delle condizioni di sicurezza, che non faranno altro che aggravare i loro problemi economici. Gli organismi regionali creati per mediare i problemi politici, come l’Unione Africana e l’Organizzazione degli Stati Americani, hanno perso credibilità a causa dei litigi tra i loro membri. Aiutare i Paesi vulnerabili, in particolare quelli che si trovano ad affrontare conflitti e catastrofi umanitarie, a superare gli shock che si rafforzano a vicenda, come la violenza, l’inflazione, l’insicurezza alimentare, il cambiamento climatico e gli effetti persistenti della pandemia, è più urgente che determinare quale potenza seguire nella diplomazia internazionale”, suggerisce l’autrice dell’articolo.