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Intelligence, tecnologia e conflitto. Il caso Hamas secondo Mayer

Nelle società digitali in cui stiamo vivendo, la rigida compartimentazione tra ambiti settoriali Humint e Sigint non ha più senso. E il 7 ottobre lo dimostra. L’analisi di Marco Mayer

Giovedì sera, a “Porta a Porta”, Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, ha ricordato con il conduttore Bruno Vespa come il feroce assalto di Hamas del 7 ottobre non sia stato un attacco militare, ma una efferata aggressione contro bambini, ragazzi, donne e civili israeliani inermi. Non ho ancora avuto il coraggio di guardare le immagini di cui Vespa e Tajani hanno parlato durante la trasmissione, in particolare quella del bambino bruciato in un forno mentre i miliziani delle Brigate Al Qassam stupravano, torturavano e poi uccidevano la sua mamma.

Nonostante le atrocità barbare che hanno caratterizzato la strage del 7 ottobre, è legittimo discutere le modalità della robusta reazione (in termini di eccesso di difesa) da parte di Israele, ma ciò può avvenire a una condizione ben precisa. Chi critica Tel Aviv ha l’obbligo morale di ricordare che Russia, Iran e Cina continuano le loro relazioni di amicizia e vicinanza con Hamas come se il massacro del 7 ottobre non fosse mai accaduto. In realtà, è ancora peggio perché, solo pochi giorni fa a Teheran, incontrando l’ayatollah Ali Khameini, il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh ha apertamente difeso la strage del 7 ottobre.

In questa difficile cornice internazionale, è sbagliato attribuire a motivi pre-elettorali del presidente Joe Biden la scelta degli Stati Uniti di non porre il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco a Gaza durante il Ramadan. La verità è che una pausa umanitaria può servire e ci sono oltre due miliardi di musulmani nel mondo con cui dobbiamo dialogare.

Per fortuna, la grande maggioranza delle persone di fede musulmana non si riconosce nel regime teocratico degli Ayatollah di Teheran e dei suoi proxy del terrore, Hezbollah, Houthi e Hamas. Ai musulmani che vivono nel nostro continente abbiamo il dovere morale di ricordare che quando i miliziani di Hamas bruciano i bambini nei forni, violentano e torturano le donne israeliane si comportano esattamente come hanno fatto i nazisti tedeschi nei campi di sterminio nel cuore dell’Europa.

La domanda politica da porre è invece un’altra. Perché negli ultimi dieci anni il premier Benjamin Netanyahu si è fidato ciecamente di Vladimir Putin (non ha detto una parola sull’annessione russa in Crimea del 2014) mentre contemporaneamente Hamas anche con il supporto russo trasformava, anno dopo anno, la Striscia di Gaza in un gigantesco arsenale militare tecnologicamente avanzato?

La Striscia di Gaza, dopo la sanguinosa estromissione dell’Autorità nazionale palestinese, è totalmente nelle mani di Hamas dal giugno 2007 e lo è rimasta per quasi 17 anni. Dal colpo di Stato del 2007, e particolarmente nell’ultimo decennio, la dotazione tecnologico-militare delle Brigate Al Qassam di Hamas nel territorio della Striscia ha conosciuto una crescita esponenziale.

Il fallimento dei servizi israeliani del 7 ottobre è da attribuire alla decadenza del fattore “human intelligence” e da una sopravvalutazione del ruolo della tecnologia? Non è così per due motivi. La prima è che sono rari i casi in cui gli operatori di intelligence operano senza smartphone o altre protesi tecnologiche. Il secondo è che un vero grande errore di Israele e dei paesi amici è stato probabilmente l’opposto, ovvero la sottovalutazione della crescita delle capacità tecnologiche di Hamas, che ha avuto a disposizione ben 17 anni per dotare il territorio della Striscia di Gaza delle armi, degli apparati di cyber-warfare e dei sistemi di comunicazioni piuttosto sofisticati.

Per spiegare l’inedita versione di un “Hamas Tech” occorre mettere in luce i seguenti aspetti. In primo luogo le sorprendenti capacità di Hamas di condurre operazioni tattiche e strategiche in area cyber. In un importante rapporto del 7 novembre 2022, l’Atlantic Council sottolinea come le capacità digitali di Hamas e di altri attori non statali siano state sottovalutate perché tutta l’attenzione dell’intelligence era concentrata sui quattro tradizionali attori governativi: Russia, Cina, Iran e Corea del Nord.

Qualche esempio: un attacco hacker del 2014 e successivamente un’importante operazione di infiltrazione cyber portata a termine con successo da Hamas contro l’esercito israeliano nel 2018 in coincidenza dei Mondiali di calcio; l’anno successivo, il 2019, le forze israeliane hanno cercato di distruggere l’edificio in cui era collocato il quartier generale cyber-warfare di Hamas. Tra il 2013 e il 2020 la divisione spionaggio e il suo reparto speciale (al-Majd) delle Brigate Al Qassam ha condotto numerose operazioni di cyber-spionaggio anche da fuori della Striscia, in particolare dalla Turchia. Un vero e proprio salto di qualità nelle capacità nello spionaggio tecnologico di Hamas si realizza nel 2022 nei confronti di ufficiali israeliani utilizzando tecniche di deception.

Tra le caratteristiche da non trascurare c’è, inoltre, la capacità di Hamas di condurre operazioni di propaganda e di disinformazione sui social media che vengono poi sistematicamente rilanciate sul web (via Telegram, RT, Sputnik, eccetera) da Mosca, Teheran, Pechino e Corea del Nord. Infine, è da segnalare la capacità dimostrata da Hamas (negli attacchi precedenti come in occasione del 7 ottobre) di far convergere e integrare la dimensione cyber a quella dell’intelligence, a quella cinetica e della guerra elettronica. Ciò è stato reso possibile soprattutto per la coesistenza di tre fattori: la continua assistenza tecnica e finanziaria proveniente dall’Iran e direttamente collegata con il leader Yahya Sinwar; la disponibilità di decine di migliaia di missili e razzi su basi annue (in parte assemblati in loco, ma in gran numero anche provenienti da Egitto, Libia e Sudan con la compiacenza di ufficiali di frontiera corrotti); una nuova modalità di uso dei droni tra cui quelli di origine cinese.

Informazioni emerse nelle ultime settimane indicano, infine, la capacità delle Brigate Al Qassam di condurre operazioni tecnologiche ignote all’esercito israeliano sino al 7 ottobre. Per esempio, Hamas ha avuto una capacità di penetrare in modo molto diffuso gli smartphone dei soldati israeliani con apposite honey trap, di utilizzare un vasto numero di droni per il monitoraggio del territorio e in vista del 7 ottobre ha realizzato un sistema sotterraneo di computer e di server che si erano infiltrati nelle complesse reti di videosorveglianza al confine con Gaza, che ha consentito di sabotare i sistemi israeliani permettendo ai miliziani di superare agevolmente le barriere di confine tra Gaza e Israele.

Per avere un quadro completo degli errori politici ed operativi occorrerà aspettare gli esiti della Commissione di indagine sul 7 ottobre, ma gli spunti che ho richiamato consentono di accendere i riflettori non solo sui profili tecnologici di Hamas (aspetto trascurato dai media italiani), ma più in generale sulle implicazioni per le attività di intelligence. Nelle società digitali in cui stiamo vivendo, la rigida compartimentazione tra ambiti settoriali Humint e Sigint non ha più senso. Viviamo in un contesto ibrido in cui l’imperativo è la convergenza tra i diversi comparti. Spetta non solo alle agenzie di intelligence, ma anche al legislatore, adeguare l’organizzazione e il personale dei servizi a questa nuova realtà.

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